Samantha Bruzzone: la «parte sommersa dell’iceberg» esce allo scoperto

Samantha Bruzzone
Intervista alla compagna di Marco Malvaldi, che non frequenta il BarLume ma non per questo se ne sta ferma, perché “Chi si ferma è perduto”.

Ex ricercatrice chimica, Samantha Bruzzone è la proprietaria dell’altra coppia di mani che affiancano quelle di Marco Malvaldi. È infatti coautrice del romanzo Leonardo e la marea (Laterza, 2015), del giallo Chiusi fuori (Mondadori, 2022), del saggio per ragazzi La Molla e il cellulare, per Raffaello Cortina (2022) e del romanzo Chi si ferma è perduto (Sellerio, 2022). L’ho incontrata durante una serata a fianco degli allievi della scuola di sceneggiatura Bottega Finzioni a Bologna e sono rimasta colpita dalla sua eloquenza, dalla sua pacatezza condita di ironia. Okay, ebbene sì, anche da suo marito, che l’ha definita «la parte sommersa dell’iceberg».

Samantha, come è stato per lei/per voi uscire allo scoperto come coautori?

«Per me è stata una sfida a me stessa. Marco ha anni di esperienza e una bella parlantina condita da un po’ di esibizionismo, quindi fa sembrare tutto facile. Ammetto che le presentazioni mi preoccupavano più di ogni altra cosa. Poi c’era una componente scaramantica: ormai nell’editoria Malvaldi è una specie di marchio, dietro a cui ogni tanto ci sono anche io, ma che i lettori conoscono bene. Cambiarlo aggiungendo Bruzzone poteva essere un rischio. È stato l’editore a insistere per il doppio nome dopo aver letto i primi capitoli di Chi si ferma è perduto e questo spiega perché è un grande editore.»

Scrivere a quattro mani è complicato? Non le nascondo che quando vi ho visti insieme, impegnati, affiatati e ridanciani vi ho ammirati tanto quanto ammiro i due signori della pizzeria in fondo alla strada dove abito: una coppia che lavora insieme ogni giorno. Io ho sempre sostenuto che se non avessi avuto un lavoro che mi  tiene quotidianamente lontana trenta chilometri da mio marito non so se sarei ancora sua moglie! Voi come fate?

«Ma Marco non c’è mai, è sempre in giro per presentazioni! A parte gli scherzi, scrivere a quattro mani è divertente, è nato come un gioco e continua a esserlo. Ci capita spesso di immaginare storie a partire da cose che leggiamo o che ci succedono e poi di costruirle facendo e disfacendo la trama anche a cena. Praticamente io mi occupo di più di soggetto e sceneggiatura e Marco fa regia e montaggio, quindi riusciamo a non litigare troppo. Solo su una cosa la lite è sicura: la punteggiatura. Marco scrive e mi passa il capitolo e io commento e correggo. Posso dire qualsiasi cosa, fino all’insulto, ma se mi permetto di dire che una virgola è sbagliata, lo scrittore che è in lui si inalbera e per quel giorno il muso lungo è assicurato.»

Lei ha scritto anche cose da sola? Cosa le piace di più a prescindere, scrivere narrativa (anche e soprattutto gialla?) o scrivere formule e dimostrazioni?

«Da sola ho scritto una favola che meritatamente non ha avuto buon esito. Mi viene facile inventare intrecci o immaginare anche i pensieri di un personaggio ma non sono brava a scrivere dialoghi o sviluppare situazioni. Per fortuna per quello in famiglia c’è qualcun altro… Scrivere un giallo è molto più appassionante che non parlare di scienza, per quanto meravigliosa, ed è anche molto più facile. In un romanzo tutto quello che succede lo decide lo scrittore, “è la gioia di scrivere, il potere di perpetuare, la vendetta di una mano mortale”, per citare Wislawa Szymborska. Lei sì che sapeva davvero fare magie con le parole. In un saggio scientifico invece si deve cercare di spiegare correttamente mantenendo l’equilibrio tra il giusto grado di approfondimento e il rischio di annoiare.»

Nei libri che scrive c’è comunque della chimica, tra le righe?

«Che bella parola “chimica”. Ha tanti significati. Spero che ci sia un po’ della nostra chimica nel senso dello spirito brioso che ci permette di scrivere. E poi ovviamente c’è la chimica come scienza. Capita spesso che chi ha studiato questa materia la abbandoni. Abbiamo molti amici che dopo la laurea si sono messi a fare tutt’altro e la stessa letteratura è piena di chimici che, per fortuna di noi lettori, hanno disertato i laboratori. Però è vero che la chimica invece non ti lascia mai, cambia proprio il tuo modo di vedere le cose e di affrontarle. Intanto insegna ad accettare la realtà perché la materia ha sempre ragione, se qualcosa non va come ti aspetti, sei tu che sbagli. E poi suggerisce sempre di andare oltre, non fermarsi alla superficie perché sotto ci potrebbe essere qualcosa di incredibile come solo gli atomi possono esserlo. Secondo me, la chimica è la più poetica di tutte le scienze. Spesso accusata di arido materialismo, è origine di una visione del mondo così stupefacente che nessun poeta avrebbe potuto immaginarla.»

Samantha Bruzzone-Chi si ferma è perdutoSi discute molto del divario di genere nelle materie scientifiche anche e soprattutto qui in Italia, dove bambine e ragazze sono molto sottorappresentate nei settori delle materie STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica). Eppure queste oggi, molto più che in passato, rappresentano un’area di crescita del prossimo futuro. Cos’è che ha portato lei, bambina nata negli anni ‘70, a intraprendere studi scientifici?

«Personalmente la scelta di studiare una materia scientifica è nata lentamente. Dopo il liceo classico avevo escluso le materie umanistiche non perché non mi piacessero ma proprio per la prospettiva futura. Tra quelle che oggi chiamiamo STEM, chimica era la mia preferita, per quanto ne sapessi assai poco. Una scelta lavorativamente improvvida perché in pochi anni con tangentopoli la chimica italiana è stata smontata e svenduta pezzo per pezzo, ma di cui non mi sono mai pentita. Ricordo che il primo giorno di lezioni il direttore del corso di laurea venne a salutare le matricole e osservò la schiacciante maggioranza femminile in aula.»

Nell’ultimo vostro libro, Chi si ferma è perduto facciamo la conoscenza di Serena, una casalinga di un borgo vicino a Pisa che si trova a indagare sull’omicidio del professor Caroselli, un bravo musicista insegnante nella scuola del paese gestita da suore. Serena è, appunto, casalinga, nonostante una laurea in chimica. Ha infatti deciso di licenziarsi e abbandonare un buon lavoro in quanto stanca della discriminazione maschilista che vi respirava (e subiva?). In questo aspetto così particolare c’è qualche elemento autobiografico o perlomeno gli ambienti da lei in passato frequentati l’hanno in qualche modo ispirata?

«Serena mi assomiglia molto nel carattere e ha elementi presi in prestito da quasi tutte le nostre amiche. Non ho avuto esperienze lavorative così negative personalmente ma, la storia di Serena prende spunto da quello che è realmente accaduto a una mia cara amica, che inspiegabilmente con una laurea in fisica e un dottorato in ingegneria nella ditta in cui lavorava, anni fa, era sistematicamente la nostra ragazza. Inutile dire che la ragazza in questione ha trovato di meglio altrove. Questo è un caso limite ma sappiamo benissimo che purtroppo esemplifica bene una situazione ampiamente diffusa.»

Durante un’intervista, Chiara Valerio spiega che «le donne hanno cominciato a studiare scienze esatte da meno tempo dei maschi e quindi, nonostante siano velocissime, è chiaro che possano occorrere quei 300-400 anni affinché si formi una intelligenza collettiva femminile che porti a maggiori scoperte femminili in matematica. Perché mica è sempre l’intelligenza in noi, donna per donna, che è difettiva: quella è uguale per ogni essere umano. È l’intelligenza relazionale che deve essere in qualche modo potenziata. Gli uomini parlano, si confrontano tra loro da sempre. Le donne invece devono ancora esercitare quell’intelligenza relazionale che gli uomini hanno da secoli.». A me questo ragionamento ha colpito molto, lei cosa ne pensa?

«Partiamo da un assunto: Chiara Valerio ha sempre ragione anche perché con la dialettica che ha, potrebbe convincere chiunque di qualsiasi cosa. In questo caso però non c’è nemmeno bisogno della dialettica. È vero che uno dei problemi delle donne è l’incapacità di confrontarsi, di fare gruppo tra loro ma non solo tra loro. Non è questione di rivalità o antipatia, penso che sia piuttosto timidezza e insicurezza nel sostenere le proprie argomentazioni. Nelle scienze esatte, e aggiungerei non solo in quelle, si possono contestare le idee che vengono sostenute da una persona ma non la persona. Forse noi donne facciamo fatica più degli uomini a non cadere in questo errore.»

Lei non “frequenta” il BarLume, vero? Nel senso che suo marito scrive per conto proprio i gialli di quella serie. Si è mai cimentata prima d’ora a scrivere qualcosa per la tv o addirittura per il cinema? Le piacerebbe?

«Il BarLume è tutto di Marco. Io ho suggerito qualche idea per alcune trame ma Massimo il barista e i vecchietti sono il suo gioco preferito. Per ora non ho mai scritto per alcuno schermo ma ci stiamo provando proprio con la Fondazione di Bottega Finzioni, con cui abbiamo iniziato una collaborazione che ci sta permettendo di imparare tantissimo. L’ultimo progetto è quello che ci ha dato l’occasione di incontrarci: si intitola ISBN e speriamo che sarà la prima serie televisiva ambientata in una biblioteca. A pensarci bene, qualche anno fa avevo scritto un soggetto ipoteticamente cinematografico che poi però si è trasformato in un libro di Marco, Argento vivo.»

È vero, io e lei ci siamo conosciute durante un incontro conviviale, a fianco di Michele Cogo e i suoi allievi della scuola di scrittura da lui diretta, tutti più o meno giovani tra i venticinque e i trent’anni. A lei è mai capitato di insegnare? Com’è il suo rapporto con i ragazzi di oggi, soprattutto con gli adolescenti, tra un bella zio,  tanti frà e moltissimi amo?

«Ai tempi del dottorato mi è capitato di fare assistenza in laboratorio di chimica qualitativa e quantitativa e mi piaceva un sacco ma si trattava di ragazzi al secondo anno di università. Non ho mai insegnato in scuole medie o superiori e non so se ne sarei capace, oscillerei tra un’eccessiva severità e una altrettanto eccessiva comprensione. Abbiamo un figlio di quattordici anni che per ora è gestibile, diciamo che non si è ancora trasformato nella bestiola di cui di solito prendiamo tutti le sembianze a quell’età, e conosciamo i suoi amici. Averli per casa è sempre un piacere. Mi sembra che abbiano tantissimi mezzi, forse troppi, per comunicare ed esprimere i propri sentimenti e non sappiano farlo. Però sono più consapevoli di come eravamo noi, sono più pronti a esporre le loro idee con rispetto ma senza timori reverenziali, anche se poi magari esprimono concetti ingenui o in maniera “terremotata”.»

Quanto le fa paura l’Intelligenza Artificiale in una scala da uno a dieci? Crede che “Chi si Ferma sia perduto” anche riguardo a questa branca della scienza o pensa che magari una decelerazione, un arginamento, semmai possibili, sarebbero auspicabili?

«Su una scala da uno a dieci posso dire dodici? Quelli che queste cose le sanno davvero sottolineano che il rischio maggiore al momento è la non linearità, cioè che una Intelligenza Artificiale elabori dati prodotti da un’altra Intelligenza Artificiale realizzando così un corto circuito basato su informazioni false. Una regolamentazione, se possibile, sembra necessaria ma anche se imponesse un rallentamento porrebbe le basi per un miglioramento, quindi ancora un movimento e non una stasi.»

Grazie Samantha, per questa piacevole chiacchierata e per questa sua ultima frase: rallentamento, miglioramento, comunque movimento; grazie. Da informatica atipica quale sono, è riuscita a far scendere il mio livello di timore nei confronti dell’AI almeno di tre punti. E non le dico a quanto era prima…

Elena Marrassini

Foto in alto: Samantha Bruzzone

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