Tratto dall’introduzione di Nato di donna, di Adrienne Rich, interamente dedicato alla maternità fuori dalla gabbia del patriarcato.
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Questo libro della saggista americana Adrienne Rich, scritto nel 1976 e pubblicato in Italia da Garzanti l’anno successivo, ha dato un contributo fondamentale alla definizione del nuovo ruolo della donna. È un classico del pensiero femminista che punta il dito contro il patriarcato, ancora oggi estremamente radicato nella nostra società.
«[…] In questo libro ho cercato di distinguere tra i due significati di maternità, di solito sovrapposti: il rapporto potenziale della donna con le sue capacità riproduttive e con i figli; e l’istituto della maternità, che mira a garantire che tale potenziale ̶ e di conseguenza le donne ̶ rimanga sotto il controllo maschile. Tale istituto è stato la chiave di volta dei più disparati sistemi sociali e politici. Ha impedito a più di metà del genere umano di prendere decisioni che riguardavano la sua stessa vita; ha esonerato gli uomini dalla paternità, svuotando di ogni autentico significato questo concetto; ha creato un pericoloso scisma tra vita «pubblica» e «privata»; ha sclerotizzato scelte e potenzialità umane. In quella che è la contraddizione più fondamentale e incredibile ha alienato la donna dal suo corpo incarcerandola in esso. […]
La donna viene controllata inchiodandola al suo corpo. Susan Griffin in un in un suo saggio fa notare che “la violenza carnale è una forma di terrorismo di massa in quanto le vittime sono scelte indiscriminatamente, ma i sostenitori della supremazia maschile affermano a gran voce che sono le donne a dare occasione allo stupro con la loro mancanza di pudore o col trovarsi in un luogo inopportuno in un momento inopportuno, il che equivale a dire comportandosi come se fossero libere… La paura dello stupro fa sì che le donne non circolino per la strada la sera. Le tiene in casa. Le mantiene passive e schive per timore di essere considerate provocatrici.” […]
Per molti aspetti questo è un libro vulnerabile. Ho invaso molti campi professionali, infranto molti tabù. Mi sono servita di ricerche già disponibili quando le ho trovate suggestive, senza per questo darmi una veste di esperta. Così facendo ho sempre tenuto presente l’interrogativo: Ma com’era prima per le donne? e non ho tardato ad avvertire una fondamentale difficoltà di percezione negli studiosi maschi (e anche in alcune femmine) per i quali «sessismo» è un termine troppo superficiale. Si tratta in realtà di un vizio intellettuale, che potremmo chiamare «patrivincialismo» o «patriparrocchialismo»: l’idea che le donne siano un sottogruppo, che il mondo del maschio sia l’unico «reale», che patriarcato equivalga a cultura e cultura a patriarcato… I nuovi storiografi della «famiglia e infanzia», come la maggioranza dei teorici dell’allevamento del bambino, dei pediatri, degli psichiatri, sono maschi. […]
Scrivo con la dolorosa consapevolezza della prospettiva culturale occidentale mia e di gran parte delle fonti a me disponibili: dolorosa perché rivela in quale misura la cultura femminile sia frammentata dalle culture, dalle barriere e dalle divisioni maschili in cui le donne vivono. Tuttavia, a questo punto, uno studio esteso della cultura femminile può essere nella migliore delle ipotesi solo parziale, e la speranza e la certezza di chi scrive è che altre come lei, con preparazione, formazione e strumenti diversi, stiano riunendo altre parti di questo enorme, disperso mosaico in forma di volto di donna.»
Serena Betti
Foto in alto: Elaborazione grafica di Erna Corsi
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