«Ma che pensavi, che fosse facile?». Odissea in 31 mesi di una neo famiglia

genitorialità
Riceviamo da Dalila Bachis, dell’associazione Pari Merito, questa lettera che pubblichiamo in forma integrale. Una riflessione sulla genitorialità e la carenza di servizi e sulla miopia “istituzionale” rispetto alla vita delle persone.

«In Italia, la scuola dell’infanzia comincia a 3 anni, cioè a 36 mesi. Il congedo di paternità obbligatorio dura 10 giorni, quello di maternità 5 mesi: cominciamo male. 36 meno 5 fa 31 mesi, circa 930 giorni. Chiedete pure tutti i congedi, i permessi, le ferie che volete: non arriverete a coprire 930 giorni. In questi 31 mesi, se non volete perdere il posto, al lavoro ci dovete andare.

Io e mio marito viviamo ad Arezzo, in Toscana, e abbiamo una bambina di 9 mesi. Dovremmo essere nel posto giusto, perché il Presidente della Regione, Giani, ha stabilito che in Toscana gli asili nido (0-3 anni) debbano essere gratuiti: lo slogan è “nidi gratis per le famiglie”. Ma quali, quante famiglie?

Noi abbiamo cominciato a cercare un asilo nido quando ero all’ottavo mese di gravidanza. Uno privato, naturalmente: per i pubblici e convenzionati bisognava aspettare il bando e la graduatoria. Bianca è nata a febbraio 2023; a dicembre 2022 i posti privati erano già finiti. Quando è uscita la famosa graduatoria, prima dell’estate 2023, abbiamo finalmente visto quanti erano i posti pubblici e convenzionati per “lattanti” (cioè bambini sotto i 12 mesi). Le domande erano circa 170, Bianca era 129esima, i posti erano 67. Ecco il numero di famiglie che avrebbe beneficiato del nido gratis; per la nostra e altre cento non ce n’era uno neanche volendolo pagare.

Durante l’estate abbiamo trovato una soluzione alternativa: un’educatrice che offriva un servizio di babysitting condiviso a casa sua, a un prezzo e orario simili a quelli di un nido; una formula che avrebbe permesso a noi di lavorare e a Bianca di stare con altri bambini, seguita da una persona qualificata. Abbiamo firmato un contratto, versato la caparra per l’iscrizione e per la mensilità di settembre (l’educatrice aveva una partita iva in cui si specificava che il tipo di servizio era proprio “babysitting condiviso”).

Dopo un inserimento di circa due settimane, per il quale sono stati necessari ferie e permessi, stavamo quasi per tirare un sospiro di sollievo; poi, il 4 ottobre, arriva una telefonata: “dovete venire a prendere Bianca, il Comune ha fatto un sopralluogo, devo chiudere”. Ci precipitiamo a casa dell’educatrice: nostra figlia e un’altra bambina poco più grande di lei erano lì con lei, mentre fuori, per strada, c’erano sei persone.

Ci siamo avvicinati per chiedere spiegazioni: erano dipendenti del Comune, della Usl e della Polizia municipale. Abbiamo chiesto come avrebbero dovuto fare i genitori a lavorare se al nido non c’erano abbastanza posti e l’unica realtà in nostro soccorso veniva chiusa. Risposta: “non è un nostro problema, dovete chiedere ai servizi competenti”. Ma non siete voi i servizi competenti? Non è letteralmente ciò che stiamo facendo? Giù sorrisini, ammiccamenti tra loro. Chiedo se sono a conoscenza del fatto che le domande per il nido nella fascia d’età fino a 12 mesi erano 170 e i posti solo 60. Una di loro mi corregge, con orgoglio: “eh no, sono 67”.

Al corso preparto non ti dicono tante cose: una di queste è che dopo la nascita tu e il tuo partner, se ne hai uno, siete abbandonati a voi stessi; un’altra è che riceverai tante risposte “non risposte”, tipo “eh no, sono 67”. I tuoi problemi saranno sminuiti, verrai derisa, non troverai empatia, ma arroganza e disprezzo; il sottotesto sarà sempre “ma che pensavi, che fosse facile?”. Dopo quella risposta acida e sprezzante, uno di loro ha esibito in modo minaccioso un tesserino urlandoci di abbassare i toni perché stavamo parlando con un ispettore di polizia. Questo immagino che al corso preparto non avrebbero potuto prevederlo.

Se qualcuno che lavora al Comune di Arezzo leggerà queste righe obietterà: noi, dopo quel giorno, abbiamo proposto all’educatrice di fare una convenzione con noi e di creare un nido domiciliare. Che cosa volete che vi dica? “Benissimo: metto mia figlia nel freezer e la scongelo quando avete finito”. Noi in questi 31 mesi ci siamo adesso, centinaia di famiglie ci sono già passate e altre centinaia ci passeranno prima che il numero dei posti sia adeguato alla richiesta. Qualunque cosa stiate facendo, è poco e tardi.

Racconto questa storia non perché sia nuova rispetto al panorama avvilente che ci circonda: si sentono storie così continuamente, e sicuramente ce ne sono molte di più di quelle che vengono raccontate. La racconto per tre motivi:

1) provo una grande rabbia nei confronti delle persone che hanno fatto quel sopralluogo e hanno umiliato me e mio marito, che avevamo e abbiamo tutto il diritto di lamentare un servizio inesistente. La mia rabbia si estende verso il Comune, verso il Sindaco Ghinelli, l’Assessora Tanti, verso il Presidente Giani e verso la Presidente Meloni, che si riempie la bocca con la natalità ma di fatto ignora questi 31 mesi di buco nero che i genitori si ritrovano ad attraversare. Vorrei che tutti questi soggetti sapessero quanta rabbia provo, e che se ne dispiacessero, ma so bene che non sarà così.

2) Vorrei che i genitori sentissero di fare parte di un gruppo di persone che condivide queste difficoltà. Il sistema invece ci porta a frammentarci, a cercare soluzioni disperate, a vivere alla giornata sperando che questi 31 mesi passino il prima possibile (con buona pace di chi dice “goditi questo periodo”: no, non mi posso permettere di godermi questo periodo) a pensare di essere noi non abbastanza organizzati, non abbastanza fortunati da essere non so, ereditieri, o vincitori di un posto in un asilo nido.

3) Io e mio marito eravamo a conoscenza del fatto che non c’erano posti negli asili nido ben prima di concepire Bianca: facciamo parte di un’associazione, Pari merito, che si occupa di discriminazione di genere in ambito economico. Abbiamo aderito a questo progetto nel 2021, consapevoli che il tema della parità è cruciale, anche se al tempo non ci riguardava particolarmente in prima persona (a lui per “diritto di nascita”, a me per fortunate combinazioni personali e lavorative), e sentivamo di voler fare qualcosa per migliorare la condizione delle donne – delle persone – nel nostro Paese. Attraverso le nostre ricerche e le nostre azioni concrete in qualità di associazione abbiamo toccato con mano la situazione, perciò sapevamo che tante donne sono costrette a lasciare il lavoro dopo la nascita di un figlio proprio a causa dell’assenza di servizi; abbiamo dunque cominciato a instaurare un dialogo su questo tema con le istituzioni sul territorio. Anche grazie a questa consapevolezza, come coppia non ci siamo “mossi tardi”, e non ci siamo stupiti quando, in primavera, abbiamo scoperto di essere esclusi dalla graduatoria. Ci siamo organizzati diversamente, abbiamo reagito, perché siamo persone con strumenti, contatti e risorse tali da non affogare in questa situazione. Il sopralluogo del Comune di Arezzo non ce lo aspettavamo, le derisioni e le minacce ce le saremmo risparmiate, ma proviamo ad andare in fondo a questa storia senza farci travolgere. Non tutti hanno la stessa possibilità, di cui siamo grati. Questi 31 mesi, però, ci sarebbe piaciuto poterli vivere diversamente.

In conclusione: per favore, basta ripetere di fare figli. Fare figli è (anzi, dovrebbe essere) una scelta; lo Stato ha il dovere di garantire i diritti a cittadine e cittadini di qualunque età, anche sotto i 36 mesi.»

Dalila Bachis

Foto in alto: di Martinus su Pexels

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