Pillole di femminile – Storie piccole che raccontano un mondo grande #83

Tratto da Nessuno torna indietro, il romanzo di Alba De Céspedes che narra le vicende di otto giovanissime donne negli anni Trenta.

Pillole di femminile, la rubrica per riflettere su alcuni grandi temi legati alla vita di tutti i giorni.

Al Grimaldi era stata tradita dall’illusione di una rinascita. Si era sentita giovane come non era stata mai, essendo figlia unica di genitori anziani che vivevano da vecchi. Andrea non poteva capire che, nel fingersi altra, lei stessa si credeva tale; voleva assaporare, così, un’età di cui i genitori mediante le loro abitudini, l’avevano defraudata. Inoltre, le sue compagne possedevano l’innocenza di quelle classi che si divertono con nulla; e che le era, anch’essa, sconosciuta. Certe domeniche andavano a suonare tutti i campanelli delle ville sul lungotevere e, poi, se la davano a gambe; di sera circolavano nel buio dei corridoi ammantate di lenzuoli, per spaventare le suore; ficcavano manciate di noci nel materasso di Vinca la quale, entrando in letto, gridava “ohi ohi” e loro, dietro la porta, ridevano, ridevano…

Poco dopo averla conosciuta, Andrea le aveva scritto, dandole un appuntamento al Pincio; e, adesso, le aveva confessato che, non vedendola comparire, invece di deluso era soddisfatto. Lo stesso sarebbe avvenuto se egli gli avesse chiesto insistentemente la famosa “prova d’amore” e lei aveva avesse resistito. Tuttavia questo modo d’agire, e i princìpi che lo determinavano, non erano considerati disonorevoli, non equivalevano a un inganno. Stefano invece non l’avrebbe mai condotta nella casa del Viale dei Colli per poi rinfacciarle di esservi andata.

D’un tratto, il viso di Stefano, il suo passo, i suoi gesti, le tornarono alla memoria: d’ordinario ne cacciava il ricordo perché, nel fondo dell’animo, gli sembrava rancore. Il dramma della sua morte era stato sopraffatto dalla paura, e poi dalla certezza, di aspettare un figlio. Ora però, si rendeva conto di essere stata sincera soltanto nei brevi mesi del loro amore: con lui aveva potuto essere se stessa; non aveva dovuto nascondere né il suo carattere né le sue idee né suoi istinti, mentendo (cioè violando la morale) per adeguarsi a una morale che non aveva altro fondamento se non l’universale diffusione di simili menzogne, attraverso un vasto e solido sistema di menzogne personali.

Stefano non le aveva chiesto di sposarlo per “riparare”, ma soltanto perché stavano bene insieme. La bambina era nata da un’unione spontanea, disinteressata, da un’intesa armoniosa. Invece era considerata un frutto della colpa. Un frutto amaro, velenoso in se stesso. Di certo la giudicavano tale anche le monache. Bisognava sottrarla alle monache.

Serena Betti 

Foto in alto: Elaborazione grafica di Erna Corsi

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