Perché «Perdonare o no?» non è la domanda giusta. E se la chiave fosse capire, sospendere il giudizio e dare una seconda possibilità?
«Perdonare o no?» Già la domanda presuppone un errore di prospettiva. Prima di tutto perché non si può scegliere se perdonare o meno, e vedremo più avanti il perché. E poi perché il problema non è tanto il perdono, ma la ricostruzione della fiducia smarrita.
Situazione: ti fanno del male, in modo più o meno volontario (che anche questa è una variabile) e tu rimani lì, coi tuoi tagli e il sangue che esce a fiotti.
Poi ti chiedono perdono (e a volte anche no).
Ma chi sei tu per perdonare? Parliamo seriamente? Gesù Cristo? Il Padreterno? Il Papa? Un prete in confessionale? Come e con che autorità ti puoi elevare al livello di dire «Io ti perdono»? Anche laicamente parlando: sei un giudice? Sei una giuria? Ma chi si può arrogare il diritto di giudicare gli altri perdonandoli o no?
Ehi, qui si parla di cose serie, non solo di tradimenti di coppia, ma la fiducia persa di un amico o un’amica. Roba pesa, ragazzi. La tua compagna di giochi d’infanzia che, mentre tu sei in viaggio d’affari, va a letto con tuo marito, che non sai se prendertela di più con lei o con lui. Però gli uomini, si sa, ragionano con qualcosa di diverso dal cervello, ma le amiche? Anche le donne a volte ragionano con qualcosa di diverso dal cervello, non siamo poi così diversi in questo, ma è il concetto di amicizia che dovrebbe fare la differenza. E se non fosse stato per una persona terza che viene a dirtelo, non lo avresti mai saputo.
O il tuo migliore amico che all’improvviso vota Berlusconi o che diventa Testimone di Geova o, peggio, fascista, omofobo, xenofobo? Come fai?
Non sto scherzando e non è una questione di dialogo politico. Parlo di fiducia tradita. O l’amica di sempre che all’improvviso, ti accorgi, non ti comprende più. Cosa le dici? Non sono delusioni cocenti?
Il punto non è perdonare, ma trovare la forza di aprirsi a un nuovo percorso nella relazione.
Io non ho mai creduto al perdono, né il mio nei confronti degli altri, né degli altri nei confronti miei.
Credo che l’unica strada possibile sia quella della comprensione (nel senso etimologico di “prendere dentro”) e della sospensione di giudizio. La fiducia, se deve tornare, tornerà col tempo, non con la volontà.
O non tornerà. E che ci vuoi fare se non torna? Se le ferite continuano a sanguinare? Se chi chiede perdono magari lo fa anche col cuore in mano, gocciolante e strappato dal petto, ma tu sei sfatto o sfatta dal dolore e dalla delusione? Che fai? Cosa hai da dare in cambio di quella parolina magica posta in tonalità interrogativa «mi perdoni?»
Non posso perdonarti, perché non sono nessuno per perdonarti e perché sto ancora sanguinando. A meno di non essere molto bravi ad applicare la filosofia de “sticazzi”, per dirla alla romana, per cui davvero nulla ha più importanza se non star bene nel qui e ora.
Allora che dire? Forse la domanda giusta non è «mi perdoni?» ma «mi dai un’altra possibilità per dimostrarti che valgo ancora la tua fiducia?»
E qui torniamo a essere per un attimo meno laici: possiamo porgere l’altra guancia? Possiamo concedere una seconda possibilità?
Io direi di sì, quasi sempre. Questo, com’è ovvio, implica giocare per un po’ di riserva, non lasciarsi andare fino in fondo. Ma, come dicono i giovani adesso, «ci sta». Pian piano passa. Oppure non passa. In quest’ultimo caso nemici come prima e fine della storia.
Perdonare? Proviamo a cambiare linguaggio e modo di pensare, prima. E forse riusciremo a trovare altre strade.
In alto: immagine da ilregno.it
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Potremmo definire la decisione di perdonare qualcuno come un atto strettamente personale, che suscita emozioni e sentimenti unici, volti al fine di ritornare alla (quasi) normalità che c’era prima.
Ogni dolore ricevuto, ogni torto, ogni disagio, ogni fastidio, ogni delusione, ogni rabbia, ogni odio, ecc.., presenta quella particolarità legata, in modo univoco, alla circostanza (luoghi, tempi, e ambiente) e alle sensazioni e sentimenti provati dalla vittima e anche dall’autore. Un’infinità di variabili che confermano l’impossibilità di definire regole, norme, criteri, e altro, nello studio del comportamento delle persone. Per cui, perdonare, o chiedere il perdono, sono decisioni che difficilmente mi sorprenderanno, indipendentemente dalle persone coinvolte. Anche io ritengo il perdono, la richiesta di perdono, oppure il rifiuto del perdono, forme strutturate di illusione, nell’aspettativa che tutto ritorni come prima: “magari non ci soffrirò più… non ci resterò più male…”. La soluzione, appunto, potrebbe essere la comprensione, anche per entrambe le parti, ma soltanto dopo un’attenta riflessione.
In realtà, penso che la ferita importante, cagionata da un atto “potenzialmente perdonabile”, non potrà mai svanire, semplicemente come accade con le ferite importanti sulla pelle: la cicatrice resterà per sempre.
Il problema è quello: le cicatrici che restano. Ne puoi fare un vanto, ma sempre una cicatrice è.