Una commedia nera sul controllo e una satira sociale che non può non risuonare in qualche ambito della nostra vita, un film non per tutti a cui non potrete smettere di pensare per giorni.
Kinds of Kindness, l’ultima fatica di Yorgos Lanthimos dopo i fuochi d’artificio di Povere creature, è un’opera cinematografica complessa che si presta a più chiavi di lettura. Strutturata in tre mediometraggi con personaggi differenti ma interpretati sempre dagli stessi attori (Emma Stone, Jesse Plemons, Willem Dafoe, Hong Chau, Margaret Qualley), richiama alla necessità fatta virtù delle piccole compagnie teatrali di giocare a scambiarsi le maschere. Non a caso la locandina del film è una fitta composizione e sovrapposizione di volti-maschera, perché è di questo che l’opera parla, di ruoli da interpretare nella società.
Robert, Daniel ed Emily sono i protagonisti delle tre storie: il primo perde il lavoro dopo aver deluso il suo capo rifiutandosi di svolgere un compito specifico, che lo costringe a ingaggiare una battaglia con la propria coscienza e che inevitabilmente perde; il secondo ritrova la moglie da tempo dispersa in mare ma, dopo l’iniziale felicità e sollievo, si convince che non sia veramente lei precipitando in una spirale di paranoia e malattia mentale; la terza è alla ricerca di una donna per la sua setta religiosa, ma è anche combattuta tra le proprie convinzioni e la nostalgia per la famiglia che ha abbandonato.
Sono storie che in realtà non parlano di “gentilezza” come suggerirebbe il titolo, Kinds of Kindness, ma di servilismo e sacrificio, di sopraffazione e convenienza. Racconti intrisi di sesso, che Lanthimos usa, ancora una volta, in modo scollato dal sentimento, funzionale solo a sottolineare la tossicità delle relazioni e dell’amore nella sua forma più distorta e malata. Sono storie permeate di violenza fisica ed emotiva come leva che il più forte usa, da che mondo è mondo, per soggiogare il più debole.
Il film è una sorta di spaccato storico-sociale dei tempi moderni e racconta, intrecciandoli tra storie e personaggi, tre poteri a cui sottoponiamo gli altri e a cui noi stessi siamo sottoposti: il lavoro, la famiglia e la fede. Proprio come i personaggi di Kinds of Kindness, a volte siamo carnefici e, a volte, vittime di un sistema che ci irretisce parlando di libertà e ci pungola per farci “mordere la vita”. Ma senza una guida, dei principi e uno scopo, il più delle volte di questa vita non sappiamo cosa farcene.
Nel film la chiave è cercare un modo, o peggio la soluzione che ci assolva dal dover pensare, nei punti di riferimento socialmente più elevati: il nostro capo, un marito, Dio. La dinamica del rapporto potente-sottomesso è nascosta dalla parola gentilezza, come un alibi che assolva le deprecabili azioni compiute come socialmente accettabili, come semplici gentilezze che nascondono invece sentimenti molto meno nobili e nobilitanti.
In questo senso, un elemento chiave del film è il corpo, trattato e maltrattato come se fosse in un horror a favore del tentativo di innalzare lo spirito, come nelle mode per il mindset, il coaching, o la meditazione in cui, curandoci sempre di meno della perdita di controllo sul corpo (cosa mangiamo, beviamo, di come gli altri lo trattano), andiamo a barattare bisogni naturali come cibo, acqua e sesso in cambio di consenso.
Questa pellicola è estremamente disturbante e in grado di scioccare, tanto da un punto di vista visivo quanto da un punto di vista psicologico, srotolando tre storie completamente folli. La rappresentazione delle immagini è asciutta e realistica, la regia è pulita e lineare, fatta di inquadrature a camera fissa, movimenti di macchina lentissimi e dettagli su oggetti e volti che vanno a sottolineare elementi della narrazione e a esplorare i personaggi.
Il carattere grottesco di tutto il film sembra cozzare tantissimo con la sua realizzazione tecnica, ma forse è proprio per queste posizioni antitetiche che risulta così efficace e rappresenta sempre di più la precisa cifra stilistica del regista, grazie anche al ritorno in Kind of Kindness dello storico sceneggiatore e collaboratore Efthymis Filippou che con Lanthimos ha realizzato Dogtooth, The Lobster e La favorita. Yorgos Lanthimos, amato o odiato, con il suo stile surreale e unico fa di ogni creazione un’opera necessaria e imperdibile per ogni estimatore della settima arte.
Federica Carteri
Foto in alto: Kinds of kindness
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