Una donna promettente: accusa diretta contro la società maschilista

una donna promettente
Un film cupo, dark, a tratti doloroso, con musiche avvolgenti e una protagonista eccezionale. Una storia che non deve lasciare indifferenti.

Nel 2020 è uscito nelle sale cinematografiche
Una donna promettente. Il film racconta la storia di Cassie (la brava Carey Mulligan che abbiamo visto anche in She said), trentenne che lavora in una caffetteria e vive ancora con i genitori. Un’esistenza ordinaria, monotona, priva di prospettive, se non fosse che, di notte, Cassie conduce una doppia vita.

Ancora vittima di un trauma vissuto anni prima, in seguito al quale ha lasciato gli studi e buttato all’aria, di fatto, il proprio futuro, Cassie trascorre ogni fine settimana nei bar, fingendosi ubriaca e facendosi abbordare dagli uomini. Il suo intento è dimostrare che quegli uomini approfitterebbero sessualmente di lei, debole, offuscata, perfino priva di sensi. Che non avrebbero rispetto, la considererebbero solo una preda, un’occasione di sesso facile. Ma lei in realtà è sobria e vigile, pronta a sferrare l’attacco, a mettere gli uomini di fronte alle loro colpe.

L’accusa alla cultura dello stupro radicata nella società non è affatto silente nella trama, anzi prevale per tutta la narrazione e sotto diversi punti di vista. Il personaggio di Cassie lotta contro questa cultura e lo fa in modo spietato e freddo, scendendo anche a patti con il logorio che questa lotta le dà. La sua è come una missione che va al di là della vendetta, una strada pericolosa e solitaria che non riesce a ignorare.

Con Una donna promettente Emerald Fennel esordisce alla sceneggiatura e alla regia per il cinema ottenendo l’Oscar come Migliore sceneggiatura originale, oltre ad altri numerosi premi. È un film potente e diretto, esattamente come Saltburn, altro lavoro di Fennel che non lascia indifferenti. Ma, a differenza di quest’ultimo, Una donna promettente potrebbe essere un ottimo spunto di riflessione per il pubblico maschile, soprattutto per quegli uomini che si sentono legittimati a “fare” anche (e soprattutto) quando dall’altra parte c’è una persona fragile, di qualsiasi fragilità si tratti.

Serena Pisaneschi

Foto in alto: da Rakuten.tv

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