Federica Ballestrin: donna oltre il consueto in un Portogallo “oltre”

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Intervista alla ragazza veneta che si è tuffata nella luce dell’Ovest più ovest dell’Europa, per mille e più motivi.

Ho conosciuto Federica Ballestrin, il suo sorriso e i suoi riccioli in una luminosa mattina di agosto, davanti a una ricca colazione senza vento, cosa rara nel sud del Portogallo. Sono rimasta colpita dalla sua esperienza di italiana all’estero. Un estero poco conosciuto dai giovani italiani in fuga e non solo, anche da noi normali in vacanza, così le ho chiesto di raccontarci la sua storia oltre il consueto, piena di sole, di luce e di oceano.

Da Bassano del Grappa a Sagres, Portogallo: da cosa è scaturita la decisione di lasciare tutto (o il poco?) e partire?

«Sono sempre stata un’anima con la valigia pronta e il cuor leggero. Tre anni fa mi ritrovavo a gestire un Wine Shop nel centro di un bellissimo borgo italiano (Asolo) e mi sentivo decisamente un pesce fuor d’acqua. Per quanto fossi grata dell’opportunità lavorativa che mi era stata offerta, sentivo il bisogno di nuovi stimoli, nuove energie. Da un po’ mi rimbalzava nella mente l’idea di avvicinarmi all’oceano, di scoprire un nuovo Paese e di cambiare stile di vita.»

E perché proprio in Algarve, a pochi passi da Cabo de São Vicente, il punto più occidentale di tutta Europa, che gli antichi chiamavano la Fine del Mondo?

«Alla scelta dell’Algarve ci sono arrivata trovando delle opportunità interessanti di WorkAway inerenti alla permacultura. Infatti, appena arrivata in Portogallo ho trascorso un mese a Moncarapacho, vicino a Faro, come volontaria in un centro di permacultura. A Sagres ci sono arrivata leggendo, chiedendo un po’ in giro e scommettendo sul fatto che “la fine del vecchio mondo” un suo fascino ce l’avrebbe senz’altro avuto. Non mi sbagliavo.»

La  luce che c’è a Sagres mi è rimasta nella testa e un po’ anche negli occhi, spero. Ho capito perché il Portogallo è sempre più una meta desiderata da tanti. L’overtourism è un problema anche lì da voi?

«Eh già, la natura qui dà sfogo a tutta la sua creatività, rendendo davvero magici e incantevoli questi luoghi. Fortunatamente qui, essendo immersi nello splendido Parco Naturale della Costa Vicentina e dell’Alentejo, la situazione è gestita diversamente da altre aree turistiche. Non potendo costruire liberamente, anzi selvaggiamente, come capita in moltissimi luoghi, il numero delle strutture ricettive che possono ospitare i turisti è contingentato. Tutto ciò regala spiagge per nulla affollate e traffico ridotto. Credo che anche il fattore prezzi (molto elevati se comparati ad altri posti in Portogallo) contribuisca al non verificarsi dell’overtourism.»

Lei che formazione ha? I suoi studi pregressi e i precedenti lavori hanno inciso sul suo modo di vedere il mondo e sulla decisione di lavorare accanto all’oceano?

«Dopo le scuole superiori (dove ho frequentato il Liceo Scientifico Tecnologico) ho avuto la fortuna di potermi iscrivere all’Università degli Studi di Trento. Mi sono laureata nel 2018 in Relazioni Internazionali. Durante gli studi universitari sono stata in India un mese e mezzo. Ho lavorato come volontaria in una scuola del governo indiano per i bambini meno privilegiati (si dice così in italiano?). Questa è stata una delle esperienze più importanti e plasmanti della mia vita, ha rafforzato in me valori che tutt’oggi mi definiscono.

Tornata dall’India decisi che mi servivano soldi per continuare a viaggiare facendo volontariato e così iniziai a lavorare presso Lush, un’azienda inglese specializzata in cosmetici naturali non testati sugli animali. Grazie a Lush, dopo qualche tempo si presentò l’opportunità di trasferirmi a Londra e, of course, accettai. Iniziò così il mio London Chapter, durato tre anni e terminato con il rientro in Italia per frequentare un master in Economia & Managment dell’Arte e dei Beni Culturali alla Business School de ILSole24Ore. Come tirocinio del master sarei dovuta andare a Baku, in Azerbaijan, per lavorare in un’agenzia che si occupa di diplomazia culturale, ma arrivò il Covid.

Perciò, come tutti, ho dovuto attuare il piano B e reinventarmi. Fortunatamente inciampai in questa bellissima realtà artistica e culturale vicino casa, il VAM (villaworks.org). Villa Albrizzi Marini è un progetto di rigenerazione sociale, ambientale e culturale (e molto più di questo) che si sviluppa in questa splendida villa veneta del ‘500. Assieme a una mia amica e collega portammo a nuova vita le antiche stalle della villa e aprimmo una galleria d’arte off-grid (Spazio Scuderia). Il primo fu un anno meraviglioso, costellato di nuovi incontri e soddisfazioni lavorative, ma c’era sempre questo “ma” dentro di me che, di nuovo, mi spinse al cambiamento. Anche perché di pura arte in Italia è difficile campare. Infatti mi dividevo tra il Wine Shop che gestivo e lo Spazio Scuderia. Il lavoro al Wine Shop fu decisivo per farmi capire che era il momento.

Quindi sì, credo che tutte le esperienze fatte, formandomi nel modo di percepire il mondo, mi abbiano dato il coraggio di mollare tutto e andarmene, una volta di più.»

La musica del vento e la musica vera e propria. Le sente unite? Quale preferisce?

«Come poter scegliere tra le due? Entrambe uniche e assolutamente fondamentali. Inizialmente la musica del vento suonava più come Hard Core Rock alle mie orecchie (il vento qui è decisamente incazzato quando ci si mette) ma ora, soprattutto di notte, mi culla. La musica dell’uomo invece è da sempre una mia grande passione e colore predominante nelle mie giornate. Preferisco su tutte quella che viene definita conscious music, la musica reggae, e in particolare la musica dub. Insomma, ballare davanti a un sound system è una delle mie forme di meditazione preferite!»

La roulotte che lei usa come base per la stagione estiva, per lasciare più spazio agli ospiti della Kicher’s Home, il suo B&B, è bellissima. Ha sempre avuto sin da piccola il necessario spirito di adattamento, la giusta curiosità, oppure sono cresciuti con lei?

«La ringrazio, anche a me piace molto la mia piccola roulotte alla Kicher’s! Credo di aver sempre avuto una sana dose di curiosità e un grande spirito d’adattamento (nutrito certamente da tutte le esperienze fatte da piccola, in particolare quella degli Scout). A dire il vero, penso che proprio quest’ultima sia una delle mie migliori qualità.

Ho un debole per le abitazioni un po’ inconsuete: durante il periodo di volontariato in India ho vissuto in una casa senza tetto; a Londra dormivo sonni tranquilli su di una narrow boat (le tipiche imbarcazioni inglesi) cullata dalle acque dei canali; la mia dimora milanese invece è stata per un bel po’ il camper dei miei, parcheggiato sui Navigli; in Portogallo ho vissuto per i primi due anni in una bellissima warehouse (letteralmente un capannone). Ovunque mi ritrovi ad abitare riesco sempre a creare l’atmosfera più “coccola” possibile e con un paio di candele, moltissimi incensi, qualche coperta e dei cuscini… da-daaaaan il mio nido è pronto. Sono curiosissima di scoprire quale sarà la mia prossima strana casa!»

Dal “freddo” nord Italia, in tutti i sensi, come dicono in molti, al sole del Portogallo. È stato tanto faticoso o ha trovato la giusta collocazione per il suo carattere, che sembra così solare e ventoso? Ma poi, è vero che i veneti sono fredde macchine lavoratrici che solo la grappa scioglie?

«La definizione che lei dà dei veneti mi fa molto sorridere. Beh, diciamo che sì, i veneti sono decisamente delle “macchine da lavoro” ma vengono anche considerati i “terroni del nord”. Infatti, nonostante il tempo speso a faticare, trovano sempre del tempo per festeggiare e godersi le bellezze delle vita. E, per quanto possa sembrare improbabile, nella maggior parte dei casi si tratta di un popolo molto accogliente. Il mio lasciare il “freddo nord” per rifugiarmi nel sole del Portogallo è stata una delle scelte migliori fatte nella mia vita: qui il sole splende per la maggior parte dell’anno e ciò ha un impatto molto importante sul mio mood.»

Attualmente lei quante lingue parla? Durante la mia breve permanenza a Sagres e dintorni ho notato che l’inglese degli autoctoni è ottimo, sicuramente molto più fluido di quello di noi italiani, soprattutto se di mezza età.

«Al momento parlo fluidamente solo inglese e italiano, ma capisco praticamente tutto del portoghese e dello spagnolo. Sono comunque iscritta a un corso di portoghese perché vorrei impararlo per bene. Qui ho stretto amicizia con dei ragazzi libanesi che spesso parlano il francese e devo dire che i cinque anni passati a studiare il francese a scuola sono serviti a qualcosa.

Il fatto che in Portogallo l’inglese sia parlato bene è grazie alla brillante idea di NON doppiare ogni film e serie tv in portoghese cosicché le persone, fin da piccole abituate a sentire la lingua straniera, la apprendono poi molto più facilmente e correttamente. Fortunatamente ora con le piattaforme di streaming la lingua originale è sempre disponibile… c’è speranza anche per il popolo italiano?»

A proposito di autoctoni, i portoghesi come sono, come l’hanno accolta?

«Ho imparato che i portoghesi del sud del Portogallo differiscono per qualche aspetto dai portoghesi del nord (come capita spesso anche in altri Paesi). Qui al sud ovest dell’Algarve gli autoctoni riflettono il paesaggio che li circonda: la Natura è selvaggia e a tratti inospitale, ma allo stesso tempo incredibilmente affascinante. Sagres nasce come l’ultimissimo villaggio di pescatori d’Europa e la vita qui, specialmente in passato, dev’essere stata particolarmente intensa e non priva di sfide. Personalmente, nonostante il mio carattere estroverso e solare, all’inizio è stato un po’ complicato inserirsi nella comunità ma, una volta che ci entri in confidenza, i locali qui sanno davvero sorprenderti.»

Di solito  l’ultima domanda è sempre una cosa tipo “le manca l’Italia”? Però preferisco chiederle cosa le mancherebbe di più dell’Algarve se dovesse lasciarlo.

«Ammetto che questa domanda mi fa venire un po’ la pelle d’oca. In questo periodo sto valutando varie opzioni di vita, tra cui quella di lasciare l’Algarve per tornare magari in Italia. Ci sono moltissime cose che mi mancherebbero di questo posto, da Vila do Bispo a tutto il circondario (zona davvero unica). Ho lasciato un pezzo di cuore nelle spiagge mozzafiato che caratterizzano questo angolo di mondo e se penso ad alcune delle cose che mi mancherebbero…

Mi mancherebbe innanzitutto il magico momento del tramonto che le parole non bastano a descrivere, ogni giorno diverso dal giorno prima, i miei amici da ogni angolo del mondo e le nostre cene, lo stare sempre all’aria aperta a contatto con la Natura, poter camminare scalza ovunque (tranne al supermercato: possibilità di essere multati!). E poi mi mancherebbe L’oceano, con le sue acque gelide e rigeneranti e le sue onde a volte enormi, altre quasi assenti, il tempo di qualità trascorso accanto al mare e il poter finire di lavorare ed essere in spiaggia in cinque minuti a piedi. Soprattutto mi mancherebbe la sensazione di libertà che si prova qui.»

Elena Marrassini

Foto in alto: Federica Ballestrin

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