Come l’arte può, attraverso i suoi linguaggi e le sue modalità comunicative, avere funzione sociale per migliorare il mondo, magari, cambiare il mondo.
Lo scorso 8 ottobre a Rovereto, si è conclusa la sedicesima rassegna d’arte contemporanea sui Diritti Umani: Human Rights?#Dignity 2024. La mostra, inaugurata a giugno, si è sviluppata in tre spazi espositivi, la Campana dei Caduti, l’Oratorio Chiesetta del Redentore e la Sala Baldessari.
Human Rights?#Dignity è stata promossa da Creactivity e Fondazione Campana dei Caduti in collaborazione con Associazione Internazionale di Arti Plastiche Italia, Aiapi/Iaa Unesco official Partner. Roberto Ronca ha curato la mostra che è stata organizzata da Debora Salardi. Sono stati coinvolti centosessantatre artisti, centonovantaquattro artworks. Trentadue le che hanno partecipato all’evento.
Parlare d’arte è parlare dell’uomo nella sua essenza: il creare, il suo creato, il suo essere in entrambe le dimensioni, quella del visibile e quella dell’invisibile e metterle in comunicazione, permettere loro di accedere l’una all’altra senza soluzione di continuità.
Gli artisti, sono stati chiamati a esprimere, attraverso i linguaggi dell’arte, il loro punto di vista sul primo obiettivo dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Porre fine ad ogni forma di povertà nel mondo.
Un argomento che riguarda tuttә, ognuno di noi, nessuno escluso. La povertà è una delle più gravi ferite alla dignità dell’essere umano. Tuttә hanno diritto a un minimo di sussistenza economica e sociale. Questo perché a ognunә deve avere la possibilità di mantenere un adeguato livello di vita, alimentare, sanitario, scolastico, ambientale, ossia vivere con dignità.
Molte le domande che ci interrogano. Perché l’ingiustizia della povertà che impedisce la dignità dell’essere umano? Se ci trovassimo noi a vivere una condizione di mancanza di sussistenza o altri disagi, come ci comporteremmo? Che cosa possiamo fare per contrastare questo stato di cose?
Anche gli artisti si sono interrogati su questo tema, tutti concordi sul fatto che non si può rimanere indifferenti (qualcuno ha detto che l’indifferenza rende complici) di fronte a questa ingiustizia. Con il linguaggio dell’arte si possono porre domande, seminare dubbi e riflessioni, fare breccia, anche, forse, dare risposte.
L’arte può prendersi delle responsabilità perché una mostra rimane un luogo di aggregazione e di partecipazione attiva al vivere collettivo, dove possono essere visti, non soltanto i luoghi dell’anima ma anche forme di consapevolezza. È uno spazio profumato, un territorio di sogni ma anche di realtà.
Arte che pone domande, che denuncia come anche la maternità non possa essere una scelta in condizioni di povertà, come la ricchezza se diventa fine e non mezzo, generi ancora più povertà.
Arte che propone e crea possibilità come credere nell’uomo, come diventare più umani affrontando il proprio perturbante, più consapevoli della propria ombra.
Nei concept degli artisti, affiancati alle opere, erano specificati i loro pensieri dai quali si è dedotto come la libertà, libertà dalle ideologie, dal «si è sempre fatto così», sia stato il loro comune denominatore, come si siano messi di fronte alle criticità, guardandole in faccia.
Non si sono opposti a queste ma le hanno incluse in un possibile scambio, per poi spiccare il volo e cambiare punto di vista poiché si è riusciti a vedere l ‘abisso.
Gli artisti come coro polifonico, voci diverse, uguale melodia e i curatori, visionari e lungimiranti che vedono nell’arte non tanto la bellezza quanto la possibilità e l’orizzonte attraverso i quali dire e forse predire il tempo ed il luogo del contemporaneo.
È stata una mostra itinerario, una sorta di liturgia laica, canto appena mormorato, talvolta più urlato, che ha portato lo spettatore a pensare, a farsi protagonista e portavoce di speranza affinché il messaggio possa arrivare a comunicare con le moltitudini.
L’allestimento ha seguito criteri che favorivano la comprensione e la lettura dell’intero il viaggio. Aggirarsi tra le opere suscitava vertigine ed emozione nel sentirsi accolti, partecipi di questo progetto. Non semplici visitatori ma attori coinvolti in prima persona. La grande affluenza dei visitatori mostra come sia alto l’indice di gradimento che accompagna queste rassegne.
Gli spazi, nel dialogo con le opere, in virtù dei loro significati e significanti, di luoghi di pace e di aggregazione per una collettività auspicata, hanno svolto la loro funzione di collante.
Una sinfonia di intenti che ha prodotto connessioni tra l’interno e l’esterno, sia delle istituzioni, sia dei partecipanti tutti, come un canto corale di ringraziamento.
Vi consiglio di monitorare l’edizione prossima, del 2025, e andare a visitarla per raccogliere i frutti che saprà donarvi.
Paola Bellinato
In alto: Rovereto, Campana dei Caduti, Human Rights?#Dignity 2024 – Foto di Roberto Ronca
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