Il brano di oggi è tratto da “Il costo della vita” di Deborah Levy. Secondo volume delle autobiografie in movimento.
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Il brano che segue è tratto dal secondo volume delle autobiografie in movimento di Deborah Levy, Il costo della vita, del 2018 e pubblicato in Italia nel 2024 grazie a quelli di NN, con la traduzione di Gioia Guerzoni e l’introduzione di Veronica Raimo.
Ho conservato una fotografia di mia madre quando aveva meno di trent’anni. È seduta su una roccia durante un picnic con gli amici e ha i capelli bagnati perché è appena uscita dall’acqua. Nel suo volto c’è una sorta di introspezione che ora riconosco come la sua parte migliore. È vicina a se stessa in quell’istante, e si vede. Non sono sicura di aver pensato che l’introspezione fosse la sua parte migliore quando ero bambina o adolescente. A cosa ci serve una madre dall’aria sognante? Non vogliamo madri che guardano nel vuoto, che desiderano essere altrove. Abbiamo bisogno di una madre che sia una donna di questo mondo, piena di vitalità, abile, pronta a soddisfare tutti i nostri bisogni.
Forse avevo preso in giro la sognatrice che era in mia madre per poi insultarla perché non aveva sogni?
Secondo la storia classica, il padre è l’eroe e il sognatore, che si allontana dai patetici bisogni di donne e bambini e si avventura nel mondo a fare quel che deve fare. Da lui ci si aspetta che sia se stesso. Quando ritorna alla casa che le nostre madri hanno creato per noi, viene accolto di nuovo nell’ovile, oppure diventa un estraneo, che avrà bisogno di noi più di quanto noi abbiamo bisogno di lui. Quando ci racconta le cose che ha visto nel suo mondo, noi gli diamo una versione semplificata della vita di ogni giorno. Nostra madre vive con noi in questa realtà e la incolpiamo di tutto perché è a portata di mano. Allo stesso tempo cerchiamo di non alimentare i miti del suo carattere, sul suo scopo nella vita. Eppure abbiamo bisogno che si angosci per noi – dopotutto la quotidianità è piena di angosce. Se non le riveliamo i nostri sentimenti, ci aspettiamo che per magia li percepisca comunque. E se si allontana per un po’, se tenta di costruirsi un’identità che non è sempre al nostro servizio, trasgredisce al compito mitico e primordiale di essere colei che ci protegge e ci nutre. Ma se si avvicina troppo ci soffoca, infettando il nostro fragile coraggio con la sua ansia contagiosa. Quando il padre va a fare quello che deve fare nel mondo, capiamo che è il suo compito. Se la madre fa quello che deve fare nel mondo, ci sentiamo abbandonati. È un miracolo che sopravviva ai nostri messaggi contrastanti, scritti con l’inchiostro più velenoso della società. Basterebbero quelli a farla impazzire.
Paola Giannò
Foto in alto: elaborazione grafica di Erna Corsi
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