Pillole di Femminile – Storie piccole che raccontano un mondo grande #124

Con grande piacere pubblichiamo “Questione di carte”, racconto con il quale Manrico Scarpelli ha partecipato alla nostra ultima call del 2024: “Futuri imperfetti”.

Pillole di femminile, la rubrica per riflettere su alcuni piccoli grandi temi legati alla vita di tutti i giorni.

QUESTIONE DI CARTE di Manrico Scarpelli

Quando ti ho visto l’ho capito subito che tipo eri e quelle come te non mi piacciono per niente. Sei arrivata con quel tipo sdentato, pieno di tatuaggi, un personaggio inquietante. E i tre figli che ci hai fatto insieme.

Poi ho saputo che non siete sposati, che lui è separato dalla prima moglie, ha due figlie grandi che non ci parla e non le vede mai. Che è stato in galera, droga, rapine. No, dico, ma come cazzo si fa a farci tre figli, insieme a uno così?

E infatti guardali, i tuoi figli. Belli, per carità. Ma poi? Il grande ha quasi diciotto anni e a scuola ha smesso da un bel po’, fa il muratore quando lo chiamano e il sabato e la domenica si alza a mezzogiorno e poi inizia con le canne e la trap sparata a palla. Poi c’è la ragazzina, lei ne ha fatti quattordici e ne dimostra meno eppure va in giro seminuda e truccata come una pornodiva. Dici che fa una scuola per estetista.

E poi c’è la piccolina, sette anni, otto? Lei a scuola ci va, per ora. Ti vedo quando la mattina la accompagni in fondo alla strada verso il pulmino. Di pomeriggio, quando tu non ci sei, passa il tempo a truccarsi, a pettinarsi, insieme alla sorella. Un giorno mi ha suonato per chiedermi se avevo della colla di quella rapida, voleva attaccarsi delle unghie finte.

La sera quando il tuo compagno rientra a casa si sente gridare. Tu, i ragazzi, la piccola che piange. Lui no, lui al massimo alza un po’ la voce.
Mi sono lamentata con il signor Fiaschi, quello che ha affittato l’appartamento al tuo compagno. Ha detto che gli dispiace, che non se lo immaginava, al bar gli avevano detto che eravate persone perbene. Povero Fiaschi, è rincoglionito ormai, ma non ha smesso di essere avido. Pur di affittare, anche a cani e porci. Ma questo è, o almeno era, un piccolo condominio di gente come si deve, due piani, quattro appartamenti, tre famiglie e basta e della quarta famiglia coi problemi se ne faceva volentieri a meno.

Voi di problemi eccome se ne avete. E avete messo al mondo tre figli, anzi, TU li hai messi al mondo. Potevi, dovevi pensarci. Tre, mica uno. E per cosa, poi? Il ragazzo farà la fine del padre e le ragazze faranno la tua. Che a malapena parli l’italiano, ti spacchi la schiena a fare le pulizie nelle case su e giù in questo posto del cavolo dove di autobus ne passa uno ogni ora che se non hai la macchina sei morto e tu non hai nemmeno la patente. Non sai neppure andare in bicicletta, te ne volevo regalare una vecchia delle mie, non l’hai voluta, «non sono capace», hai detto. Tre figli. Potevi starci attenta, cristo, siamo in Italia nel ventunesimo secolo.

C’è qualche giorno di calma. Lui non c’è. Me lo hai raccontato tu, quando ti ho trovata e fatta salire in macchina, eri alla fermata del bus che stava diluviando e tu non avevi nemmeno l’ombrello, la felpa col cappuccio e basta, faceva pure freddo.

Mi hai detto che non andate più d’accordo, che era andato via con un’altra, che tu e i ragazzi state cercando un posto dove andare a stare. Mi hai chiesto dei monolocali che ho giù al piano terra, se per caso erano liberi, e io ti ho risposto di no, in uno ci tengo gli abiti e le scarpe e l’altro resta vuoto a disposizione degli amici che vengono ogni tanto a trovarmi. E figurati se lo affitto a te e ai tuoi figli, ma questo non te lo ho detto. Tu mi hai risposto va bene, grazie, era così per sapere, se in caso dovessi ripensarci.

Poi lui è tornato. Io ero via, mi hanno raccontato che una sera hanno sentito gridare ancora, sempre più forte. Mi hanno detto che sono arrivati i carabinieri, e dopo un paio di giorni sono tornate le assistenti sociali. Che era da qualche mese che non si facevano vedere ma è da tempo che vi seguono. Come si dice? Un finale scontato, come da copione.

La settimana dopo siete spariti tutti, da un giorno all’altro.

Dopo qualche giorno ho visto tuo figlio. È venuto con i carabinieri e il padre ad aprire la porta per poter prendere delle cose in quella che era casa vostra. Quando padre e carabinieri se ne sono andati lui si è fermato un attimo, aveva voglia di parlare. Mi ha raccontato del pronto soccorso, del codice rosa per le minacce, delle assistenti sociali che ti hanno consigliato di fare così.

Mi ha detto che tu e le bambine siete lontane, una casa famiglia, nemmeno lui sa esattamente dove. Le bimbe non vanno a scuola. Al padre metteranno il braccialetto elettronico. Tu non puoi usare il telefono, neanche per essere chiamata. È il programma di protezione, ha detto. E mi sono ricordata della telefonata di questa estate.

Ero in spiaggia, tranquilla che mi è suonato il cellulare. Numero sconosciuto, ma io rispondo sempre, casomai riattacco.

«Ciao Francesca. Mica ti disturbo?»

«Buongiorno. Scusi, ma chi è?»

«Ma sono io, sono Carmela. Quella che sta sopra a te, al secondo piano. Non mi riconosci?»

No. Non ti avevo riconosciuta. Per niente. Avevi una voce tranquilla, controllata. Non quella nenia lamentosa di quando discuti con i tuoi figli o quella rabbia delle grida acute e cattive della sera. Una voce dolce.

«Francesca, per favore, sto in difficoltà. Davvero, non è che mi puoi affittare uno dei tuoi monolocali? Me lo hanno detto anche le assistenti sociali, mi devo cercare qualcosa qui vicino.»

«….»

«Guarda che io ti pago. Io lavoro, lavoro tanto lo sai? Mi vedi che sto via dalla mattina alla sera, ma è tutto al nero, senza contratto. Senza un contratto non mi affitta nulla nessuno.»

«Carmela, te l’ho detto, io non….»

«Ma tu mi conosci, lo sai chi sono. Lo so che non li vuoi affittare, ma pensavo che magari mi potevi aiutare. Solo per qualche mese, poi vado via, ecco.»

«No, mi dispiace. Davvero. Te l’ho detto, non li affitto. Ciao.»

«Va bene, grazie lo stesso. E scusami se ti ho disturbata, eh? Buona giornata, scusa ancora.»

E mi hai salutata così. Perbene. Senza sarcasmo, senza astio. Una voce ferma e gentile che non ti avevo mai sentito prima. Con dignità.

Eravamo sedute allo stesso tavolo, e tu stavi giocando meglio che potevi con le carte che ti sono capitate in mano. Ho capito che nella vita hai sempre giocato così, al meglio. Io, io invece ho sempre avuto carte buone, tanti assi e poi re, regine, fanti.

Tuo figlio mi ha salutato, se n’è andato. Io sono rimasta un attimo davanti al portone. Lui si è voltato «Se solo avesse trovato una casa da affittare», ha detto, «ma mamma non c’è riuscita.»

È solo questione di carte.

Manrico Scarpelli

In alto: elaborazione grafica di Erna Corsi

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Manrico Scarpelli
Manrico Scarpelli

Manrico Scarpelli è nato a Livorno nel 1959. Adesso è in pensione dopo aver lavorato nella logistica della terza azienda chimica mondiale. Appassionato di lettura, si diletta anche nella scrittura di racconti assieme agli amici del laboratorio di scrittura QWERTY di Livorno.

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