La torre d’avorio di Paola Barbato, nel labirinto della colpa e dell’identità

Paola Barbato - la torre d'avorio
L’autrice ci offre uno specchio che ci mette di fronte alle nostre paure, alle nostre debolezze e alla complessità del nostro essere.

La torre d’avorio (Neri Pozza, 2024) di Paola Barbato è un thriller psicologico che trascende il genere. Il romanzo infatti si immerge nelle complessità dell’animo umano e nelle zone d’ombra che tutti noi, in misura diversa, dobbiamo fronteggiare. Al centro della storia troviamo Mara Paladini, una donna che da tredici anni cerca di sfuggire al proprio passato, dopo aver scontato una pena in una struttura psichiatrico-giudiziaria per tentato omicidio. Il suo nome precedente, Mariele Pirovano, è legato a una terribile verità: era affetta dalla sindrome di Münchhausen per procura, una patologia che la portava a far ammalare le persone che amava, in particolare il marito e i figli, per poi curarle e sentirsi utile.

La “torre d’avorio” del titolo è la sua casa, trasformata in una prigione di scatoloni contenenti il suo passato. In questo spazio angusto e soffocante, Mara si auto-impone un esilio, convinta di essere ancora una minaccia per gli altri. Ma un evento inaspettato, la scoperta di un vicino morto per avvelenamento, la costringe a confrontarsi con la sua vita precedente. Mara sa che quei segni sul corpo del vicino sono opera di un avvelenatore, lei stessa ha usato lo stesso metodo per fare del male alle persone che amava. Inizia così la sua fuga, non solo da chi la vuole incastrare, ma anche da quello che è stata.

Uno degli aspetti più riusciti del romanzo è la rappresentazione della complessità dell’identità. Attraverso il personaggio di Mara, Barbato ci mostra come ognuno di noi sia un insieme di diverse personalità, spesso in conflitto tra loro. «Non sono una sola, sono tante», sembra dire Mara, una donna che si sente divisa tra il suo presente, il suo passato, e la sua paura di ricadere negli errori già fatti. La copertina stessa del libro, con l’immagine di una donna riflessa in uno specchio spaccato in cinque parti, sottolinea questo tema.

la torre d'avorioBarbato riesce a addentrarsi con delicatezza nella psiche di Mara, senza giudicarla, ma cercando di comprenderne le motivazioni. La scrittrice esplora le dinamiche della sindrome di Münchhausen per procura, patologia poco conosciuta ma più diffusa di quanto si pensi che colpisce soprattutto le figure genitoriali. La sindrome è una forma di abuso in cui un genitore o un’altra persona che si prende cura di un bambino simula o provoca una malattia nel bambino. In questo modo, il genitore attira attenzione e compassione su di sé. Nel caso di Mariele, l’autrice sottolinea come questa patologia sia legata a un bisogno di sentirsi utile e importante.

Un altro punto di forza del romanzo è l’amicizia che lega Mara e altre quattro donne conosciute durante gli anni trascorsi nella REMS (residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza). Queste donne, accomunate da un passato di sofferenza e di devianza, creano un legame profondo e indissolubile, dimostrando come alcune relazioni, nate in contesti estremi, possono superare il tempo. Il libro parla anche di perdono, o meglio, della difficoltà di perdonare. Luca, l’ex marito di Mara, è un uomo buono ma incapace di perdonare il male che ha subito.

Quanto è dovuto alla malattia e quanto alla personalità delle protagoniste? È una domanda che il romanzo lascia aperta, invitando il lettore a riflettere sulla natura umana. Barbato non offre risposte facili, ma ci mostra come la linea tra malattia e personalità sia spesso sfumata e difficile da definire. Le protagoniste sono donne imperfette, complesse, con luci e ombre, che fanno scelte discutibili. Non ci sono buoni o cattivi, ma solo individui che cercano di dare un senso alla loro esistenza, spesso fallendo.

La torre d’avorio è un romanzo che si legge con ansia, ma che allo stesso tempo commuove e fa riflettere. Uno specchio che ci mette di fronte alle nostre paure, alle nostre debolezze e alla complessità del nostro essere. Un invito a guardare oltre le apparenze e a comprendere che, proprio come le protagoniste di questo libro, siamo tutti fatti di tante diverse sfumature. L’autrice stessa, in un’intervista, ha ammesso di essersi nascosta dentro il libro durante un periodo difficile della sua vita, usando la scrittura come una grotta e un appiglio.

Questo libro non è solo un thriller, ma un’esplorazione profonda dell’animo umano, un’indagine sulla colpa, sul perdono e sulla possibilità di reinventarsi. Un libro che rimane dentro, come un’ombra che ci segue e ci costringe a fare i conti con la nostra stessa complessità.

Cinzia Inguanta

In alto: Paola Barbato in una foto, dal profilo Facebook dell’artista, scattata da Maria Grazia, la bibliotecaria di Motta Visconti.

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