Diamanti di Ferzan Özpetek: un possibile modello biopsicosociale?

Diamanti
Tre piani narrativi e un mosaico di donne resistenti e indistruttibili. Le sfaccettature di un mondo femminile che risplende.

Diamanti è l’ultimo film di Ferzan Özpetek, sceneggiato con Elisa Casseri e Carlotta Corradi, uscito nelle sale il 19 dicembre 2024. Quindicesimo film del regista turco che, ancora più del solito, celebra la coralità dei suoi personaggi, la convivialità a tavola e non solo, le passioni e le emozioni. Arricchisce la visione la colonna sonora di Giuliano Taviani e Carmelo Travia con i contributi di due miti come Mina (con un’inedito) e Giorgia.

Le scene iniziali vedono partecipare anche Özpetek come interprete di se stesso. Il regista riunisce intorno a un tavolo le diciotto attrici del cast alle quali intende illustrare il copione e che rappresenta uno dei piani narrativi della pellicola. Altro piano è quello della storia ambientata nella sartoria delle sorelle Canova, Alberta e Gabriella, interpretate da Luisa Ranieri e Jasmine Trinca. Le due imprenditrici sono incaricate dalla costumista Bianca Vega (Vanessa Scalera) di produrre i costumi per un film le cui riprese inizieranno fra poche settimane. Un terzo piano narrativo, forse il vero cuore della vicenda, è quello delle vite private delle sorelle Canova, delle loro dipendenti e di Bianca Vega. I tre piani ovviamente sono intrecciati in modo indissolubile.

L’impresa a cui sono chiamate le diciotto donne nelle stanze della sartoria Canova è titanica. Ma è proprio fra le pieghe delle difficoltà, professionali e personali, che emerge quanto le loro diversità rappresentino il loro punto di forza. Complicità, collaborazione e passione sono gli ingredienti di base, mescolati all’ironia (Geppi Cucciari la fa da padrona) che mai perde di vista la verità delle piccole grandi cose della vita. Ci sono poi le loro differenti creatività ma anche la cura dei dettagli e delle persone e il risultato è un meraviglioso mosaico. La vera bellezza di questo cast strepitoso l’ho percepita in particolare nelle scene intorno al tavolo, quando parlano del copione con Özpetek. Si vedono diciotto donne di una splendore disarmante e non mi riferisco a canoni standard, ma a quella bellezza che fa illuminare lo sguardo. Una luce oltre il consueto che, quando c’è, è impossibile non percepire.

La stessa bellezza, o se vogliamo fascino, è anche quella che conquista lo spettatore nelle scene di soli sguardi, in particolare quelli fra Luisa Ranieri e Carmine Recano, una scena lasciata senza parole e che senza parole lascia davvero. Una delle rivelazioni più inaspettate del film è stata l’interpretazione di Mara Venier. Il suo personaggio, una figura materna amorevole, ha arricchito la narrazione con la sua capacità di unire la squadra non solo attraverso il cibo, ma anche grazie alla condivisione di preziosi insegnamenti, maturati nel corso della sua vita.

Nonostante le lodi sperticate, i record di incassi e persone che riferiscono di essere tornate subito una seconda volta a vederlo, qualcosa non convince. Per esempio, le interpretazioni di Luisa Ranieri e Jasmine Trinca, come sempre magistrali, in alcune scene mi sono sembrate eccessivamente forzate. Ho avuto l’impressione che le attrici fossero costrette a recitare in modo innaturale, forse a causa di precise indicazioni del regista. Per quanto riguarda poi il finale della vicenda personale di Nicoletta, interpretata da Milena Mancini, l’ho trovato tanto intuibile quanto poco realistico. Ci sono infine alcuni aspetti che ho avvertito un po’ troppo aperti a diverse interpretazioni come il ruolo di Elena Sofia Ricci.

Il film, pur trasmettendo un messaggio positivo sulla collaborazione e il rispetto tra le donne, è stato criticato per l’uso eccessivo di atteggiamenti denigratori nei confronti degli uomini. Simulando il catcalling, tipico delle molestie di strada, il film sembra voler evidenziare l’ipocrisia di certi comportamenti maschili, ma questa scelta ha finito per oscurare il messaggio principale. Si ritiene che l’enfasi posta su questi atteggiamenti negativi abbia distolto l’attenzione dalla celebrazione della diversità e dell’unione tra le donne, che rappresenta il cuore del film. Pur apprezzando alcune battute, mi chiedo se fosse davvero necessario ricorrere a toni così forti e provocatori.

Devo ammettere che appena uscita dalla sala non ero così entusiasta, sono rimasta come sospesa in un limbo, come se il film appena visto avesse bisogno del tempo necessario per essere assaporato, gustato e condiviso proprio come i piatti delle tavole delle pellicole di Özpetek. D’altronde una delle magie del cinema è proprio quello di regalarci emozioni e ricordi che poi restano a farci compagnia e che ognuno può interpretare a suo modo. La frase che più mi ha colpita, pronunciata da Jasmine Trinca è «Non siamo niente, ma siamo tutto», che lascio alla vostra interpretazione.

Paola Giannò

Foto in alto: Parte del cast in una scena del film

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Se questo articolo ti è piaciuto condividilo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Solve : *
28 ⁄ 7 =