Una serie drammatica dentro una sit-com, il racconto di quanto sia difficile scappare da una vita che non è quella che avremmo voluto.
L’America da anni ci ha ormai abituato alle serie tv; che siano gialle, drama, poliziesche, sentimentali non importa, ne siamo letteralmente invasi (e dipendenti). Una delle tante categorie è la sit-com, ovvero situation comedy, in cui ci sono ambientazione, regia e tematiche specifiche: tirando le somme, si parla sempre di un gruppo di amici o familiari che affrontano le vicende della vita quotidiana. Alcune di queste sit-com hanno come protagonista un padre di famiglia infantile ed egocentrico che combina un guaio dietro l’altro, con buona pace della pazientissima moglie (santa subito) e spalleggiato da improbabili scagnozzi tanto corti di ingegno quanto di personalità. Mi vengono in mente titoli come La vita secondo Jim o Tutto in famiglia, per fare due esempi. Ecco, Kevin can f**k himself è una serie che in parte ricalca questo aspetto, ma dentro la sit-com c’è un’altra serie, drammatica, in cui si racconta una verità totalmente diversa.
Allison è sposata con Kevin da dieci anni, vive da allora come satellite di un marito egoista e manipolatore. Si rende conto della sua condizione e nonostante tutto sopporta ogni cosa fino a schiacciare se stessa, fino a spingere in fondo la sé che vorrebbe tanto emergere, e che vorrebbe mandarlo a quel paese e finalmente essere libera. Ma non ce la fa, subisce ogni giorno la fine prepotenza del marito, il subdolo manovrarla a suo piacimento. Allison è più intelligente di Kevin, più scaltra, ha molto più buonsenso, ma abbassa sempre la testa di fronte a qualsiasi scemenza compia il marito o comportamento maschilista lui ostenti senza ritegno. Un altro personaggio femminile importante è Patty, la vicina di casa sorella della spalla (idiota) di Kevin. Patty ci viene presentata come parte dei vessatori di Allison, ma presto capiamo che è molto più sveglia, solo ci mette un po’ a trovare quella dimensione di solidarietà femminile che Allison cerca disperatamente. Le due donne, seppure mantenendo una certa freddezza tra loro, muovono qualche passo l’una verso l’altra quando capiscono che sono circondate da uomini che non le tengono in considerazione come “individui” ma solo come presenze utili a uno scopo. Così Allison è la moglie servizievole e obbediente e Patty è la vicina cinica, fredda, l’unica dotata di un po’ di polso (cosa che non hanno gli uomini della serie).
Una cosa molto interessante è la tecnica di regia che viene usata per le riprese. Possiamo apprezzare campi ampi, colori vivaci, battute taglienti e risate registrate tipiche della sit-com, ma quando la narrazione si concentra su Allison o Patty, sul loro sentire, ecco che le scene diventano più cupe e le inquadrature soggettive. Questo cambio di stile di regia ci porta dentro e fuori le due donne, da chi devono essere a chi sono davvero. È quasi straziante il passaggio, chi sta guardando percepisce subito lo switch dalla luce all’ombra, anzi dal buio al più buio, e quanto sia difficile dover mantenere un’apparente aria da commedia quando dentro di sé c’è tutto il succo del dramma. Il passaggio dalla luminosità dei colori alla cupezza delle scene più intime ci fa già capire quanto stiano morendo dentro, quanto odino la loro vita e desiderino scappare via da tutto. Ma restano incollate lì, fanno la cosa giusta, seguono una coscienza che non sanno più nemmeno da dove nasca. E perché? Forse per un’impostazione che è stata data loro fin dall’infanzia, quello spirito di sacrificio che le donne hanno insito in loro da sempre. Si vede la fragilità del loro equilibrio, ma anche l’immensa forza che hanno nell’andare avanti. Potrebbero mollare tutto ma non lo fanno, il motivo forse è da ricercare in un’insicurezza radicata, nell’obbligo morale di dover fare la cosa giusta (per gli altri e non certo per sé) e nel dover essere chi e cosa ci si aspetti da loro.
Kevin can f**k himself è una serie uscita in Italia su Amazon Prime Video nel giugno scorso. Il titolo racchiude tutta la voglia di ribellione e lo spirito di rivalsa che hanno le protagoniste, ma come si vede di volta in volta spesso è un impulso che non riesce a emergere. Che sia colpa dell’educazione ricevuta, della prevaricante manipolazione altrui o di un carattere troppo debole il risultato non cambia, anche se puntata dopo puntata ci viene un desiderio sfrenato di entrare nel televisore e gridare noi quel “f**k you” che non viene detto, prendere per mano Allison e Patty e portarle via lontano da lì.
Serena Pisaneschi
Foto in alto: la locandina delle serie