La malattia oncologica come spartiacque fra due vite. La scrittura che cura: imparare a vivere in modo più autentico le relazioni.
Sonia Scarpante è un’architetta milanese con la vocazione della scrittura. Ha all’attivo molte pubblicazioni, collabora con numerose riviste ed è la presidente dell’associazione La cura di sé. Ho pensato di intervistarla per approfondire quell’ulteriore e interessante funzione terapeutica cui la scrittura, che ovviamente amo, può assolvere.
Quando è nata la sua passione per la scrittura?
«In realtà ho sempre scritto, fin da giovanissima. Poesie, diari e lettere. Avevo già allora il desiderio di mettere su carta quello che provavo, però erano occasioni saltuarie. Quando ho incontrato la malattia oncologica invece è scoppiato qualcosa. La malattia è stata proprio lo spartiacque fra la mia vita di prima e il dopo. Tutto è nato appena mi è stata comunicata la diagnosi: ho percepito in me una disfunzionalità, mi è mancato qualcosa. Avevo la sensazione di non essere stata autentica come avrei voluto, soprattutto con le affettività. Era una percezione molto forte. Ho sentito la necessità di scrivere una lettera a un medico, i nostri rapporti si erano interrotti ma avevo necessità di fagli sapere alcune cose. Dopo aver scritto ho sentito subito un senso di appagamento e da lì nella mia mente ha iniziato a formularsi questa idea di provare a fare lo stesso tipo di percorso con le persone che hanno accompagnato la mia vita. Ho iniziato a scrivere loro delle lettere ripercorrendo parte della mia vita e parte della loro.»
Ha conservato quelle lettere?
«Sì certo, anche perché sono diventate il primo libro che ho pubblicato: Lettere ad un interlocutore reale. Il mio senso. Prima della malattia avevo una vita come tanti, il mio lavoro, un marito, una bambina. Dopo la malattia e questo lavoro di scrittura è come se mi fossi riappropriata di un senso nuovo della mia vita, un nuovo viaggio di consapevolezza e di crescita. Da lì ho iniziato a scrivere tantissimo. Ho scoperto che la scrittura aiuta a fare ordine. Quello che ha di grandioso è che ti aiuta a risolvere soprattutto le affettività conflittuali, i sensi di colpa. L’ho vissuto su me stessa e alcune lettere sono state davvero dolorosissime.»
I destinatari delle lettere hanno apprezzato la pubblicazione del libro?
«Non tutti hanno gradito la pubblicazione. Qualcuno non credeva neanche che lo avrei pubblicato, credo invece che sia stato importante dirci certe cose ed entrare in questo confronto. Con il passare del tempo il valore di tutto questo è stato compreso, ho iniziato ad aumentare le mie relazioni e il mio libro è stato molto di aiuto a persone che vivevano un percorso di malattia simile al mio. Hanno iniziato anche da ambienti ospedalieri a chiedermi di scrivere la mia testimonianza e così è nato Mi sto aiutando con la prefazione del professor Umberto Veronesi. Poi mi sono arrivate richieste di singole persone che intendevano fare un percorso introspettivo con la scrittura fino a che il progetto si è allargato tanto da trasformarsi nell’associazione La cura di sé di cui sono la presidente.»
Il corpo che si ammala e la cura del sé. Pensa ci sia un legame fra il nostro fisico e la nostra interiorità?
«Ci credo molto. È importante come ci prendiamo cura del nostro corpo, il fare movimento o come ci alimentiamo. È altrettanto importante sapersi accettare, altrimenti il nostro corpo lo grida, questo conflitto. Oggi credo che sempre più persone stiano crescendo in questa dimensione, c’è una maggiore consapevolezza anche grazie all’opera di scrittori e filosofi. Mi viene in mente, ad esempio, l’operato di Umberto Galimberti sull’educazione emotiva e sentimentale, che è un parametro essenziale nella nostra vita. Andrebbe recuperata nelle scuole, negli ambienti sanitari, un po’ ovunque. La nostra società ne ha sempre più bisogno, tanti fenomeni sociali nascono da una carenza in questa dimensione.»
Si riferisce a qualcuno in particolare?
«Ad esempio quelli attinenti al maschile e al femminile. L’uomo spesso ha paura ad affrontare se stesso, teme di sprofondare nel buio e preferisce non sapere. In questo modo però non si aiuta in alcuni passaggi della vita e in particolare nelle frustrazioni, che spesso non sa vivere. Da questa difficoltà possono emergere comportamenti violenti.»
Quali sono le attività organizzate dall’associazione La cura di se?
«Ci sono i corsi aperti a tutti basati sulla scrittura e sulla condivisione seguendo il metodo che ho registrato. Sono organizzati in piccoli gruppi con incontri distanziati nel tempo perché c’è poi una parte di lavoro da svolgere individualmente. Hanno una durata estensibile, da un minimo di sei incontri di circa tre ore fino anche a otto o dieci incontri. Talvolta sono gli iscritti stessi che chiedono di prolungare la durata. I master invece prevedono un livello più elevato, sono rivolti a figure professionali di cura e durano cinque o sei mesi. Gli incontri sono mensili ed è richiesto un lavoro impegnativo da svolgere a casa sia come scrittura che di approfondimento di testi che vengono assegnati. In questo modo si apprende un metodo che poi può essere utilizzato nella propria professione.»
Sono in presenza o online?
«Li ho sempre tenuti in presenza spostandomi anche in altre città e in ambiti anche molto diversi, come ad esempio per il personale ospedaliero, per i detenuti e nelle scuole. Con il Covid sono stata costretta a passare alla modalità a distanza, in cui devo confessare non credevo molto, ma ho dovuto ricredermi completamente. Il fatto di essere nel proprio ambiente è comunque un elemento che infonde sicurezza.»
Ringrazio la nostra ospite per l’interessante chiacchierata e per il tempo che ci ha dedicato. Se andate a sbirciare sul sito de La cura di sé troverete molti interessanti spunti di riflessione e le belle parole, sul suo metodo e progetto, proferite da Padre Bartolomeo Sorge ed Eugenio Borgna, socio onorario insieme a Massimo Recalcati, ognuno legato a Sonia Scarpante da un lungo rapporto di stima e collaborazione.
Paola Giannò
Foto in alto: Sonia Scarpante