La giovane atleta, classe 2004, veste con orgoglio la maglia gialloblù della squadra cittadina e gioca a calcio da quando aveva nove anni.
Il calcio è uno sport che per troppo tempo è stato considerato appannaggio esclusivo dei maschi, relegando le calciatrici a un ruolo quasi pittoresco. Oggi, finalmente, il calcio femminile inizia a essere apprezzato, conquistando passo dopo passo il posto che gli spetta. Per osservare da vicino questo storico cambiamento abbiamo incontrato Sara Corsi, calciatrice classe 2004, che veste la maglia gialloblù dell’Hellas Verona Women.
Sara, quanti anni ha e da quanto gioca a calcio?
«Il 29 dicembre compirò diciassette anni e gioco a calcio da quando ne avevo nove.»
Da dove nasce la sua passione per questo sport?
«È nata quando ero bambina. Da piccola, prima di giocare a calcio, facevo danza con un amico. Proprio il papà di questo amico, un giorno mi chiese di andare a fare una lezione di prova nella squadra di calcio di cui era l’allenatore. Da quel momento non ho più smesso di giocare.»
La famiglia l’ha supportata in questa scelta, assolutamente legittima ma poco frequente per una bambina?
«Sì, la mia famiglia è sempre stata molto presente, mi ha supportata in tutto. Sono sempre stati favorevoli al mio desiderio di giocare a calcio.»
La squadra con la quale giocava da bambina immagino fosse mista, come accade in molti altri sport. Ha incontrato difficoltà? La società calcistica ha agevolato il suo inserimento?
«Per la verità nella mia prima squadra non ero nemmeno l’unica bambina e questo ha fatto in modo che io mi inserissi ancora meglio. Non ho mai incontrato difficoltà all’interno di una squadra mista, anche perché all’epoca i miei compagni di squadra erano tutti miei amici e compagni di scuola.»
Ci racconta il suo passaggio all’Hellas Verona? Che cosa ha significato?
«Al termine di un allenamento con il Montorio, la squadra dove giocavo, mi fermai con dei miei compagni a provare dei calci piazzati e delle punizioni. Si fermò a osservarci il mister dei portieri Sergio Meneghini, che era anche l’allenatore della Primavera del Verona, e chiese a me e alla mia compagna di squadra di andare a fare degli allenamenti di prova all’Hellas in vista di un torneo. Da quel momento iniziai a giocare per il Verona.»
In quale categoria gioca ora e con quale ruolo? Quest’ultimo è cambiato nella sua carriera sportiva?
«Gioco con la Primavera dell’Hellas Verona Women e mi alleno anche con la Prima Squadra. Gioco come terzino, ma nel corso della mia carriera ho cambiato molti ruoli facendoli praticamente tutti: ho iniziato come attaccante, poi centrocampista, esterno sulla fascia per poi arrivare alla difesa.»
Sta studiando? Se sì, che cosa? Riesce gestire facilmente allenamenti, campionato e studio?
«Studio economia, finanza e marketing all’Istituto Pasoli di Verona, sono al quarto anno delle scuole superiori. Riesco a gestire tutto abbastanza bene, per la mia famiglia la scuola è molto importante, quindi la metto al primo posto insieme al calcio.»
La sua attività sportiva viene considerata in ambito scolastico? Viene agevolata per poter seguire sia la squadra che la sua istruzione?
«Fortunatamente nella mia scuola viene data importanza allo sport. Gli studenti-atleti come me vengono aiutati, ad esempio programmando compiti in classe e interrogazioni, in modo tale da agevolarci per permetterci di riuscire a fare entrambe le cose: studiare e praticare sport.»
Molto spesso il calcio femminile viene considerato secondario rispetto a quello maschile, quando invece tecnica e spettacolarità di gioco non temono paragoni. Come la fa sentire questo confronto?
«Secondo me non è possibile paragonare il calcio maschile a quello femminile perché le differenze fisiche sono evidenti. Non significa però che le donne non possano giocare bene a calcio e prodursi in uno spettacolo appagante per i tifosi.»
A seguito dei recenti successi della nazionale italiana femminile questa percezione sembra in fase di cambiamento. Riscontra questo atteggiamento più attento anche nella sua esperienza personale?
«Penso che dopo il Mondiale del 2019 la visione nei confronti del calcio femminile sia cambiata sensibilmente. Molte persone si sono appassionate a questo settore e molte bambine hanno iniziato a praticare questo sport iscrivendosi alle scuole calcio. Penso che il livello stia crescendo di anno in anno: siamo passate da avere i genitori come unici spettatori ad attirare, oggi, l’attenzione di un pubblico molto più vasto.»
La possibilità di diventare professionista, in Italia, è riservata a pochissimi sport e solo per la sezione maschile, a prescindere dalla volontà della società sportiva. Quali speranze e opportunità ci sono nel suo futuro?
«Fortunatamente dalla stagione 2022/23 anche le calciatrici di Serie A inizieranno a essere riconosciute come atlete professioniste: un grandissimo passo avanti frutto del lavoro di persone venute prima di me che hanno creduto nella possibilità che questo diventasse reale anche nel mondo del calcio femminile. Il mio primo obiettivo è quello di diventare un giorno una calciatrice professionista.»
Se potesse modificare qualcosa dell’ambiente del calcio, che cosa cambierebbe e cosa invece manterrebbe tale e quale?
«Cambierei la mentalità delle persone, gli stereotipi secondo i quali esistono sport per uomini e sport per donne. Penso che invece ogni persona debba essere libera di fare ciò che vuole nella propria vita senza dover subire alcun tipo di discriminazione per questo. Manterrei, invece, la distinzione tra calcio maschile e femminile perché penso sia giusto che il settore femminile conservi la propria autonomia e dignità.»
Che cosa consiglieresti a una bambina che desidera avvicinarsi a questo sport?
«Le direi di non mollare mai. Ci saranno sempre persone che andranno contro la sua decisione ma deve essere forte e proseguire dritta per la sua strada. Ci vuole tanta dedizione e passione per diventare una calciatrice professionista e più il tempo passa più sarà difficile a causa della concorrenza, ma d’altronde questo è il bello.»
Erna Corsi
Foto in alto: Sara Corsi