«[…] a me bastava scrivere e conservare i miei lavori. Poi questo non mi è bastato più, sentivo di voler interagire con i lettori attraverso la mia opera.»
Caterina Ambrosecchia è nata a Matera, dove vive e insegna Scienze umane e sociali e Psicologia. Laureata in Filosofia all’Università degli Studi di Bari, ha al suo attivo quattro pubblicazioni: Sedano 40, una raccolta di aforismi e brevi racconti, Ibraforever. Manuale semiserio di un’amante del calcio un saggio ironico sul mondo del calcio e della scuola (2013) e i romanzi La donna giusta (2017), Sette secondi (2018) con Gelsorosso edizioni.
Il suo è un percorso artistico in crescendo che va da Sedano 40 al suo ultimo romanzo Sette secondi. Ci vuole parlare del suo approccio al mestiere dello scrivere? E di come è cambiato nel tempo, se lo è.
«Diventare una scrittrice è qualcosa di diverso dall’attitudine alla scrittura. L’idea è nata nel momento in cui mi sono imbattuta in una storia che mi hanno raccontato da cui ho preso ispirazione per costruire l’intreccio e le vicende del mio primo romanzo, La donna giusta.
Una volta ultimata la stesura mi sono resa conto che sarebbe stato bello rendere pubblico il racconto, relazionarmi con i lettori attraverso quello che avevo narrato, cercare un confronto, sperare nel consenso. Intraprendere quest’altra strada non è stato facile. Non avevo mai pensato di pubblicare un romanzo prima di allora, a me bastava scrivere e conservare i miei lavori. Poi questo non mi è bastato più, sentivo di voler interagire con i lettori attraverso la mia opera. A giudicare dal riscontro ottenuto ho avuto la dimostrazione che quello che pensavo fosse giusto. Cambiamo perché cresciamo, cambia il nostro aspetto, mutano le nostre esigenze, i gusti, le aspettative e le prospettive. Anche il mio stile è cambiato, in un processo naturale di maturazione e di affinamento della scrittura. Sono più attenta allo stile, oltre che alla storia, alla costruzione delle vicende e alla caratterizzazione dei personaggi. Quello che mi diverte e che mi affascina di più è l’aspetto psicologico dei protagonisti; quando pensano, agiscono, parlano, è come se avessero una vita propria, talvolta riesco a “vederli” e a dialogarci. Sono una docente di Psicologia e questo mi aiuta quando do vita a un personaggio di un romanzo o di un racconto.»
Come è nato il suo primo romanzo La donna giusta?
«La donna giusta è tratto da una storia vera su cui ho costruito intrecci, personaggi, storie familiari. È un romanzo che nasce dall’interiorizzazione di un racconto e dallo sviluppo della storia in forma di romanzo. Le vicende sono distribuite su un duplice piano temporale, gli anni ’50 e i nostri giorni, che s’intrecciano continuamente in contesti storico-sociali diversi.»
Di cosa parla?
«Narra di tre donne che appartengono a tre generazioni: nonna, figlia e nipote. Quando la nonna muore, sua nipote comincia a scavare nel passato della sua famiglia e scopre una verità diversa. La rivelazione dei segreti darà un nuovo senso a tutta la sua vita e al rapporto non sempre idilliaco con sua madre. La protagonista degli anni ’50 vive la sua giovinezza in un ambiente socioculturale povero e arretrato, ma lei è moderna e tenace e riesce a fare cose che in quegli anni erano impensabili per una donna, è coraggiosa, caparbia e capace di sfidare e abbattere le convenzioni sociali dell’epoca e la mentalità retrograda.»
Come è stato accolto dal pubblico?
«Il pubblico ha risposto con entusiasmo: dall’esordio nel 2017 presso il Salone Internazionale del Libro a Torino, sono stata in molte città italiane per presentarlo. Il libro è stato accolto con successo, per un’esordiente e per una casa editrice indipendente ─ la Gelsorosso edizioni di Bari ─, effettuare tre ristampe in poco più di otto mesi è stato un ottimo risultato.»
In Sette secondi, il suo ultimo lavoro, incontriamo quattro donne che partono insieme per un viaggio nell’isola di Mykonos. Quattro personaggi molto differenti e ben caratterizzati. Come li ha costruiti?
«Sette secondi è un romanzo ambientato nel 1994, parla di un viaggio sull’isola di Mykonos di quattro giovani donne; il viaggio estivo e vacanziero si rivelerà ben altro, diventa un viaggio interiore nel loro passato perché le donne si confrontano, si scoprono, si sfuggono, condividono e rivelano i propri segreti. I temi di cui parlo sono tanti, dalla violenza di genere alla ricerca dell’identità, alla fuga da dolori importanti. L’isola diventa il teatro in cui le vicende vengono narrate. Il viaggio è solo l’inizio di un iter diverso che si prolungherà anche al loro ritorno e in una prospettiva futura. Elena, Silvia, Anna Maria e Alessandra sono le quattro protagoniste e sono frutto della mia immaginazione. Elena è afflitta dai dubbi e dagli interrogativi di una giovane donna che ancora è alla ricerca di un grande amore, Silvia affronta il dolore per una grave perdita, Anna Maria ha un passato di cui nessuno conosce nulla e la più giovane, Alessandra, ha una famiglia ingombrante che le causa incertezze e confusione. Ho costruito la loro personalità basandomi su storie che, per quanto inventate, sono verosimili, reali, talvolta fin troppo attuali. In loro convergono tante situazioni comuni a più persone, a più donne con cui ho avuto la fortuna di dialogare, e tanti racconti, tante testimonianze sono poi confluite nei miei personaggi. Li amo tutti allo stesso modo; anche quelli più problematici, più scontrosi, più ruvidi hanno una loro ragion d’essere, sono affezionata a tutti, non li giudico, non li condanno e non li assolvo, hanno la vita che devono avere perché le motivazioni alla base delle loro azioni li fanno muovere in un certo modo, accetto che abbiano una loro vita autonoma.»
Entrambi i romanzi hanno ambientazioni particolari: il sud Italia e la Grecia. Sono solo paesaggi geografici?
«Il Sud dei miei romanzi non è un paesaggio geografico, ma mappa dell’anima e ambiente umano. Nel mio primo romanzo, La donna giusta, lo scenario è quello di “un borgo medievale cinto da torri e mura con un imponente castello feudale”, un luogo con strade contorte, scalinate sconnesse, ma il paesaggio è la metafora di una cultura antica, chiusa alle novità, restia al cambiamento. Tutto ciò non ha a che vedere con il sud geografico, è più un sud socioculturale di un’epoca, di relazioni sociali, di stereotipi e pregiudizi di un mondo patriarcale, dato che una parte del romanzo è ambientata negli anni ’50, a cui fanno da contraltare donne coraggiose e orgogliose che nell’ombra s’impongono come modelli di donne estremamente moderne che fuggono dal ruolo di mogli e madri. Nel mio secondo romanzo, Sette secondi, il Sud è rappresentato dalla Grecia, perché è il mio omaggio a una terra che amo particolarmente e dove vorrei vivere per alcuni mesi all’anno. Ma il topos più importante è il viaggio intrapreso dalle protagoniste, un viaggio fisico, ma che ovviamente è anche un viaggio interiore perché le protagoniste s’incontrano, si confrontano e condividono i propri vissuti. Posso dire che il Sud rappresenta il “luogo” in cui si torna dopo essere stati altrove, profondamente cambiati.»
Esiste un filo rosso che unisce i due lavori?
«I miei due romanzi hanno in comune il fatto che abbiano come protagoniste delle donne. Parlo più facilmente delle donne perché mi è più accessibile la loro interiorità. Culturalmente e prima ancora biologicamente, le donne hanno in sé l’altro, lo accolgono. Si danno all’altro perché è nella loro natura. Oltre a questa spiegazione ce n’è una, molto meno razionale, che ha a che fare con il mio mondo interiore, dominato, anche se nella mancanza, da figure femminili amate, ammirate, fonte d’ispirazione, per me. La presenza massiccia di donne nei miei romanzi è un filo conduttore evidente.»
A cosa sta lavorando?
«Ho completato il mio terzo romanzo. Sto procedendo a un primo editing, in cui elimino, sostituisco, aggiungo, cambio. È la fase che meno mi piace della stesura di un libro, perché è il momento dei dubbi, dei tentennamenti, delle domande e delle speranze. Anche questo è un romanzo al femminile, la protagonista è una donna che vive la sua maternità in modo contraddittorio e ambivalente, in quanto oscilla tra la voglia di riscatto e di rivalsa a causa di un passato difficile e l’impossibilità di riuscirci fino in fondo.»
Se le dico “l’altro femminile”, a cosa pensa?
«A un modo più autentico di essere e di stare al mondo, senza nascondersi per timore delle proprie fragilità e della propria vulnerabilità. Molto spesso i pregiudizi e le aspettative sociali ci intrappolano nel “dover essere” in una certa maniera, l’educazione livella i nostri spigoli e pialla le nostre asperità a danno della sensibilità che ognuno di noi ha il dovere di curare e di alimentare. La ricettività dell’essere femminile è una qualità che non ha nulla a che vedere né con l’identità di genere, né tantomeno con l’orientamento sessuale, ma è un dono emotivo, un’intelligenza raffinata che permette di comunicare con gli altri, sentirli nel profondo e condividere stati d’animo. Le donne spesso si colpevolizzano perché non riescono a conciliare i molti ruoli che ricoprono ogni giorno e che arrecano tensione e stress, con conseguente diminuzione dell’autostima. Alla luce di questo, mi piacerebbe che l’altro femminile possa coincidere con l’accettazione dei molteplici e variegati modi di essere e di sentire in libertà, senza autocondanne e senza subire altrui giudizi.»
Cinzia Inguanta
Foto in alto: Caterina Ambrosecchia
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