Da Mary Shelley a Elena Gianini Belotti: ecco perché, al contrario degli adulti, bambini e bambine non vengono da pianeti diversi.
Nel diciannovesimo secolo essere donna non era una condizione semplice. Non lo è nemmeno oggi, ma qualche passo in avanti è stato fatto. Eppure, anche secoli fa, un’educazione illuminata poteva fare la differenza per una giovane.
Nel 1818 viene pubblicato in Europa un romanzo dalle atmosfere gotiche che sconvolge il lettori per la sua forza e audacia. Lo stupore diviene sgomento quando viene rivelato al pubblico che l’autore è in realtà un’autrice di soli diciannove anni. Sembra impossibile che una fanciulla di quell’epoca possa aver concepito una trama complessa, oscura e carica di significati come quella di Frankenstein (o Il moderno Prometeo). L’educazione per le donne era limitata alla cura della casa e all’imposizione di essere utili, non certo a eccellere. Per sua fortuna Mary Shelley, la tanto discussa quanto apprezzata autrice di questo romanzo, era la figlia di Mary Wollstonecraft e del filosofo William Godwin. La prima fu una madre fondatrice del movimento femminista, il secondo un precursore del pensiero anarchico. Wollstonecraft nel suo libro A Vindication of the Rights of Woman (1792) sosteneva la tesi rivoluzionaria per l’epoca che le donne non fossero affatto inferiori agli uomini, ma che l’educazione a loro impartita le privasse della possibilità di esprimere se stesse e i loro talenti. L’istruzione della figlia fu quindi decisamente fuori dagli schemi, permettendole di acquisire un’apertura mentale impensabile per una donna in quegli anni.
«È tempo di compiere una rivoluzione nei modi di esistere delle donne – è tempo di restituire loro la dignità perduta – e fare in modo che esse, come parte della specie umana, si adoperino, riformando se stesse, per riformare il mondo.» Mary Wollstonecraft
Lo stesso tema viene ripreso da Elena Gianini Belotti, recentemente scomparsa, nel suo libro Dalla parte delle bambine (Feltrinelli, 1973). Questo saggio evidenzia come il condizionamento sociale abbia continuato ad affidare ruoli ben definiti a bambini e bambine, mettendo le basi per un futuro destinato a ripetere se stesso, consolidando patriarcato e disparità di genere. È necessario superare l’idea che i maschi e le femmine siano più o meno inclini alla vivacità, all’intelligenza, alla grazia o alla caparbietà in funzione del loro sesso. Sono tutti attributi caratteriali innati, che esulano dall’organo riproduttivo di cui si è dotati.
Oggi, a più di due secoli di distanza dal debutto letterario di Mary Shelley, ci chiediamo se le donne, le madri, siano davvero consapevoli del loro ruolo fondamentale. Dare pari dignità alle loro figlie tanto quanto ai loro figli è la condizione fondamentale per porre le basi di un futuro più equo, in cui le nostre discendenti saranno davvero libere di scegliere la loro strada. Anche magari costruendone di nuove.
Foto in alto: di Bess Hamiti – Pexel
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