Poeta senza laurea ma con l’aspirazione di affermarsi in un’epoca in cui le donne non potevano coltivare ambizioni. «Il mio lavoro sono le parole. Le parole come etichette, o monete, o meglio, come uno sciame d’api.»
Scrive per non impazzire. Anne Sexton, con un passato da modella, inizia a scrivere sotto suggerimento dello psicanalista che la invita a mettere su carta i suoi pensieri depressivi e maniacali come cura. La sua poetica è ribelle, sfacciata proprio come i suoi atteggiamenti e la sua personalità bipolare. I temi riguardano il sesso, il suicidio, la masturbazione, argomenti delicati per i nostri tempi, figuriamoci negli anni ‘60. La sua è una poesia confessionale proprio come quella di Sylvia Plath, mette in piazza sentimenti e argomenti mai trattati prima in versi. Impietosa squarcia il velo d’ipocrisia borghese nel quale le donne sono confinate, trasferisce la sua anima sulla carta, consegnando ai versi il suo corpo e le sue emozioni più intime.
Le due poete si conoscono durante un corso universitario di poesia, si frequentano per un periodo, si scambiano profondità e tra un Martini e l’altro parlano a lungo dei loro primi tentativi di suicidio. Anne scrive in una lettera: «Parlavamo della morte con intensità bruciante, entrambe attratte da essa come due falene dalla lampadina della luce: la succhiavamo.» Quando Sylvia Plath si uccise, Anne Sexton ricordò quelle chiacchierate in una poesia: Sylvia’s death.
Esattamente come la Plath, anche Anne tenta il suicidio molte volte fino a riuscire nel suo intento di togliersi la vita, e lo fa in modo plateale rispecchiando il suo modo di essere, sempre fuori dagli schemi. La Sexton non incarna lo spirito della poetessa remissiva, studiosa, sempre vittima, che cerca la rivincita, nella poesia, per quello che non ha avuto dalla vita. È bellissima, elegante, sempre vestita all’ultima moda, senza laurea e scandalosamente schietta, spesso ubriaca di alcool e psicofarmaci. I successi raggiunti non placano mai la sua mente tormentata, non è la poetessa chiusa nella sua stanza che scrive versi. È là fuori, a bere e a cercare consolazioni dai suoi innumerevoli amanti. I suoi versi sono brillanti e raccontano tutto ciò che le passa per la testa e che vive senza nascondersi dietro simbolismi e pudori.
Anne Sexton, da viva, raggiunge un livello di fama inusuale per una poeta di quell’epoca: le sue letture pubbliche erano affollatissime, i suoi libri diventavano best-seller e vincono premi su premi, Pulitzer compreso ricevuto nel 1967 con la terza raccolta Vivi o muori (Live or Die).
A questa donna oltre il consueto, spirito ribelle, dedichiamo uno spazio facendovi ascoltare un ricordo della sua adolescenza, il suo desiderio di vivere e di amare con l’ingenuità dei suoi anni, accompagnato dalla consapevolezza del proprio corpo che cambia facendola riscoprire donna. In quella notte la Sexton si ricorda quella ragazza sdraiata sull’erba che guarda le stelle e dimentica che la mano della donna che scrive questi versi è quella di una donna segnata da un disagio psichico che le fa desiderare di morire. Quella ragazza adolescente… mille porte fa.
Per La poesia nel dì di domenica, Serena Betti legge per noi Giovane. Buon ascolto.
Debora Menichetti
Foto in alto: Anne Sexton
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Giovane
Mille porte fa
quando ero una ragazzina solitaria
in un’enorme casa con quattro
garage e se ben ricordo
era estate,
di notte mi sdraiavo in giardino,
il trifoglio raggrinzito sotto di me,
le sagge stelle distese sopra di me,
la finestra di mia madre un imbuto
da cui usciva un calore giallo,
la finestra di mio padre, socchiusa,
un occhio dove passa chi dorme,
e le assi della casa
erano lisce e bianche come cera
e probabilmente milioni di foglie
navigavano come vele sui loro strani gambi
mentre i grilli ticchettavano all’unisono
e io, nel mio corpo nuovo di zecca,
non ancora di donna,
facevo domande alle stelle
e credevo che Dio potesse veramente vedere
il calore e la luce colorata,
i gomiti, le ginocchia, i sogni, la buonanotte.
(Fonte web)
Anche qui, come in altri siti, devo far notare che sarebbe corretto e doveroso citare anche il nome del/della traduttore/trice che tanta fatica hanno fatto. Ma forse è impossibile se si lavora con il copia e incolla.