La poesia nel dì di domenica: “Noi” di Anne Sexton

Anne Sexton
Poeta vamp, sempre chic, accuratissima nel trucco, vestiva di rosso e tacchi a spillo. Concentra tutta la sua follia nella poesia, trasformando la bipolarità in versi senza pudore.

Anne Sexton è una donna intrappolata nell’American Dream degli anni ‘60, che si rifiuta di vivere in quell’unico spazio scelto da una società perbenista che impone alle donne una femminilità addomesticata e subordinata all’uomo. Nei suoi versi è protagonista una donna promiscua, che esibisce la sua sessualità con una chiara consapevolezza del proprio corpo. Grazie alla sua voce folle e irriverente, diventa una paladina della libertà sessuale e del linguaggio poetico femminile, considerato un tabù.

«Fino ai ventotto anni avevo una specie di sé sepolto che non sapeva di potersi occupare di qualunque cosa, ma che passava il tempo a rimescolare besciamella e badare ai bambini. Non sapevo di avere alcuna profondità creativa. Ero una vittima del Sogno Americano, il sogno borghese della classe media. Tutto quello che volevo era un pezzettino di vita, essere sposata, avere dei bambini. Pensavo che gli incubi, le visioni, i demoni, sarebbero scomparsi se io vi avessi messo abbastanza amore nello scacciarli. Mi stavo dannando l’anima nel condurre una vita convenzionale, perché era quello per il quale ero stata educata, ed era quello che mio marito si aspettava da me… Questa vita di facciata andò in pezzi quando a ventotto anni ebbi un crollo psichico e tentai di uccidermi.»

Queste le parole usate dalla Sexton nel ricordare il periodo in cui ricopre l’impeccabile ruolo di moglie e madre conducendo una vita di facciata. Presto però tutto va in frantumi, l’instabilità emotiva e i crolli nervosi la portano al primo tentativo di suicidio. È l’inizio di un lungo viaggio tra gli ospedali psichiatrici, ma anche del grande amore per la poesia. La vita, la morte, la poesia e la pazzia si intrecciano indissolubilmente e ne fanno una poeta acclamata nei salotti culturali.

Anne Sexton aveva una bellezza appariscente, un modo di fare affascinante e disinibito, ma i suoi problemi mentali molto gravi fin dalla giovane età non la facevano vivere: non era solo vittima della depressione, come Sylvia Plath, ma soffriva di turbe psichiche, cadeva in trance per ore, beveva troppo e prendeva troppi psicofarmaci. Si comportava da pazza e il suo desiderio di morire non l’abbandonò mai. Anne era la strega buona, che non voleva guarire dalle tenebre: «La morte è un osso triste; contuso, diresti, / e tuttavia lei mi attende, anno dopo anno, / per risanare così delicatamente una vecchia ferita, / per svuotare il mio respiro dalla sua cattiva prigione.» (da Voler morire, poesia contenuta in Vivi o muori, la raccolta con cui nel 1967 Anne conquistò il Premio Pulitzer).

Come la scorsa domenica proponiamo un altro componimento molto più sensuale dove traspaiono la passione e l’eros che la rendevano e la rendono tutt’oggi unica. La sua arte è la voce ribelle che ha aperto la strada a un nuovo modo di essere donna e di fare poesia.

Per La poesia nel dì di domenica, Serena Betti legge Noi di Anne Sexton. Buon ascolto.

Debora Menichetti

Foto in alto: Anne Sexton

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Noi

Ero avvolta nella pelliccia
nera, nella pelliccia bianca
e tu mi svolgevi
e in una luce d’oro
poi m’incoronasti,
mentre fuori dardi di neve
diagonali battevano alla porta.
Mentre venti centimetri di neve
cadevano come stelle
in frammenti di calcio,
noi stavamo nel nostro corpo
(stanza che ci seppellirà)
e tu stavi nel mio corpo
(stanza che ci sopravviverà)
e all’inizio ti asciugai
i piedi con una pezza
perché ero la tua schiava
e tu mi chiamavi principessa.
Principessa!

Oh, allora
mi alzai con la pelle d’oro,
e mi disfeci dei salmi
mi disfeci dei vestiti
e tu sciogliesti le briglie
sciogliesti le redini,
ed io i bottoni,
e disfeci le ossa, le confusioni,
le cartoline del New England,
le notti di Gennaio finite alle dieci,
e come spighe ci sollevammo,
per acri ed acri d’oro,
e poi mietemmo, mietemmo,
mietemmo.

Poesie d’amore (Le Lettere, 1996), trad. it. R. Lo Russo

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