Giorni fa una donna ha scelto di affidare suo figlio a una struttura, tuttə puntano il dito contro di lei, ma il padre non si nomina.
È notizia recentissima quella di una giovane donna che ha affidato alla Culla per la vita della Clinica Mangiagalli di Milano suo figlio appena nato. Lungi da me giudicare la scelta di questa donna – che per inciso ritengo che abbia compiuto un gesto di amore e cura – mi voglio però soffermare sull’eccessivo clamore che è scoppiato immediatamente dopo. I media hanno colto la palla al balzo per i titoloni e i social sono esplosi nei soliti giudizi crudeli da leoni da tastiera. Sentenze sputate come si fa con i semi dell’anguria, esattamente con lo stesso disinteresse e un bel carico di disprezzo. Sono addirittura intervenuti volti noti della tv, appelli vari, approfondimenti, tutto quanto l’immaginabile per fare in modo di non rispettare la riservatezza e l’anonimato che una struttura come la Culla per la vita si impegna a garantire.
La madre che ha preso quella decisione, sono certa non facile, è stata travolta da una tempesta di «ha fatto bene» e «ha fatto male», di opinioni, si soluzioni alternative. In mezzo a tutte quelle frasi tronfie di superiorità, però, non ho sentito quella che più avrei voluto sentire: «dov’è il padre?». Poiché si narra che una sola donna, oltre duemilaventitré anni fa, sia rimasta incinta per immacolata concezione, un padre ci dev’essere. Ma nessuno ha fatto un appello affinché «il padre naturale ci ripensi, che l’aiuteremo noi.» E il motivo è, ahimè, molto chiaro: la responsabilità dei figli ricade per una percentuale altissima sulle madri. Se una madre affida con consapevolezza un figlio a chi sa che potrà prendersene cura meglio di lei, ecco che si grida allo scandalo, all’irresponsabilità, si inneggia a un comportamento che va contro natura. Se un padre, ugualmente responsabile di quel figlio, non si fa nemmeno vivo pare, invece, che vada bene così.
L’errore di fondo sta nel considerare che le due genitorialità abbiano importanze diverse, mentre invece non è così. L’istinto materno non è innato in ogni donna, così come l’istinto paterno non è innato in ogni uomo. Solo che se una donna decide di non avere figli non è vista di buon occhio, figuriamoci poi se lo affida alle cure di altre persone. Essere madri non è solo questione di utero, è tutto un insieme di cose che o ce l’hai o non ce l’hai. Ed è triste doverlo dire, ma al giorno d’oggi devi anche poterti permettere di essere genitore. Non ho idea se questa donna sia stata in difficoltà tali da non poter crescere un figlio o se proprio quel figlio non lo ha mai voluto, però so che ha scelto di metterlo al mondo. Forse nemmeno il padre del bambino voleva quel figlio, ma nessuno lo ha anche lontanamente tirato in ballo.
La gogna mediatica verso questa donna è stata davvero implacabile, ma lei ha avuto la forza e il coraggio di mettere in pratica il suo diritto di scelta e questa opportunità gliela ha data la Culla per la vita. Una volta c’erano le ruote degli esposti, ora la struttura è più all’avanguardia ma il concetto è lo stesso: dare una famiglia a quei bambini che, per una ragione o per un’altra, non trovano accoglimento nei loro genitori naturali. Ben vengano queste strutture, ben venga la possibilità di poter scegliere. In un mondo dove il sesso è facile, i preservativi non si usano e il coito interrotto va ancora per la maggiore, può essere una soluzione. Ma, donne, ora mi rivolgo a voi: assumete contraccettivi o imponeteli ai vostri partner perché tanto poi tutte le responsabilità sono vostre. Non fatevi raggirare con la storia del «sono bravo, faccio in tempo», ve lo dice una figlia (gemella) di quell’esperienza che tante volte funziona, altre volte no, e magari in una di quelle volte si fa anche il bis.
Serena Pisaneschi
Foto in alto: Marjonhorn su Pixabay
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